Cambiare il sistema per la giustizia climatica

In questo ultimo anno, a dispetto dei tempi bui che i risultati delle elezioni politiche registrano da est a ovest, stiamo assistendo a un protagonismo sempre più massivo da parte di pezzi di società.
Ad indicare la strada, per un cambiamento radicale dell’attuale sistema economico , sono state le donne, che dal 2016 non hanno concesso tregua ai governi e alle politiche reazionarie.
Quest’anno, a rigenerare speranza, oltre alle mobilitazioni femministe, quelle degli studenti e delle studentesse che il 15 marzo, hanno dato vita al primo sciopero per il clima a livello mondiale, accogliendo l’invito dell’ attivista Greta Thunberg.
Mentre nel nostro paese gli “intellettuali” e politici si chiedono da chi sia pagata la giovane attivista o esprimono sentimenti di odio verso di lei, migliaia di studenti e studentesse sono andati alla sostanza e hanno deciso di adottare il suo slogan e costruire lo sciopero per il clima. Uno sciopero che ha avuto impatto a livello internazionale e che anche nel nostro paese ha mobilitato migliaia di giovani.
Il prossimo appuntamento in Italia sarà sabato 23 marzo, giorno in cui movimenti, associazioni, singoli si ritroveranno a Roma contro le grandi opere, i cambiamenti climatici e la tutela della vita, in ogni sua forma, su questo pianeta.

È necessario oggi più che mai imporre un’agenda politica la cui priorità sia la salvezza di questo pianeta, perchè non ve ne è uno di riserva e una vita dignitosa.
Sono circa 30 anni che scienziati hanno lanciato l’allarme. Ma nessun governo fino ad ora ha mai posto le condizioni per una inversione di rotta

Dalla fine del diciannovesimo secolo ad oggi la temperatura terrestre si è alzata di un grado e le conseguenze a cui stiamo assistendo sul nostro pianeta, sono drammatiche; fenomeni metereologici estremi, siccità, deterioramento della qualità e della quantità dell’acqua, estinsione di specie vegetali e animali.
Il riscaldamento globale è frutto di un modello economico che si basa sulla crescita economica illimitata e il profitto, sullo sfruttamento delle risorse e il consumo. Un modello economico che si fonda sulla combustione di fossili, la deforestazione, gli allevamenti intensivi di bestiame, l’uso di fertilizzanti che alimentano l’effetto serra e il riscaldamento globale.
https://ec.europa.eu/clima/change/causes_it

Un modello economico non sostenibile da un punto di vista ambientale e tanto meno sociale e divenuto sempre più aggressivo con la fase neoliberista che prende le mosse negli anni 70 e che si valorizza attraverso l’espropriazione dei territori, delle risorse ma anche dei corpi (in primo luogo delle donne)
Tra le forme cosiddette di sviluppo, avanzate dagli anni 70, l’industria estrattiva per le materie prime, la privatizzazione della terra e l’industrializzazione dell’agricoltura a favore di monocolture da esportazione o per la produzione di biodisel.
http://www.cadtm.org/Penser-la-mondialisation-dans-une-perspective-feministe

Programmi di sostegno alimentare hanno giustificato la valorizzazione e l’espansione di monocolture a discapito delle conoscenze millenarie agricole delle comunità rurali. Le conseguenze di questo tipo di scelte sono devastanti; deforestazioni, sterilità del suolo , un aumento vertiginoso dei prezzi, malnutrizione e un impoverimento generale, espulsioni forzate dalle terre di comunità costrette a lasciare le terre da imprese agroindustriali, minerarie.
https://www.internazionale.it/opinione/marina-forti/2016/10/06/profughi-ambientali-ventunesimo-secolo

Inoltre questo tipo di colture richiedono l’uso di pesticidi che avvelenano comunità e terreni e necessitano tra le altre cose di un gran consumo di acqua. Da qui i molteplici progetti per la costruzione di dighe che hanno causato enormi siccità. Esempio le dighe dell’Omo dove la popolazione locale resiste all’ennesimo progetto di impianto idroelettrico “Gigel Gibe III”, funzionale all’agroindustria e affidato alla italiana salini impregilo. Le popolazioni locali che vivono, nel rispetto dell’ecosistema di agricoltura e pascolo su piccola scala, devono fronteggiare la feroce repressione del governo etiope per essersi opposti ai piani di sviluppo dell’opera che minaccia di distruggere un ecosistema fragile e la vita delle comunità.

Gli interessi italiani in Etiopia raccontati nel nuovo rapporto di Re:Common

I cambiamenti climatici e chiaramente le politiche di sviluppo, sono responsabili dunque dell’inasprirsi delle disuguaglianze sociali; A beneficiare di questo tipo di sviluppo sono e saranno fette sempre più piccole di popolazione perchè le risorse non sono infinite e perchè le conseguenze dei cambiamenti climatici toccano in maniera molto maggiore coloro che subiscono le consegueze di questi fenomeni e quasi mai coloro che li provocano.
Un modello di produzione e consumo che non solo produce disastri ambientali dunque ma anche disuguaglianza sociale e povertà.

Nel 2015, 27, 8 milioni di persone sono state costrette a lasciare le proprie terre per guerre, violenze e disastri ambientali. Di queste, 19,2 milioni di persone sono state costrette a migrare a causa dei disastri ambientali.
http://www.internal-displacement.org/globalreport2016/

Nel 2050, le migrazioni causate dai disatri ambientali riguarderanno 250 milioni di persone.

Crisi ambientale e migrazioni forzate

Secondo l’agenzia ONU per la riduzione dei rischi, negli ultimi venti anni, il 90 per cento delle catastrofi sono legati al clima e hanno responsabilità umane
https://www.internazionale.it/opinione/marina-forti/2016/10/06/profughi-ambientali-ventunesimo-secolo

Sono sfollati ambientali anche le vittime delle espulsioni forzate dalle loro terre, le comunità sfrattate da grandi imprese agroindustriali, o da nuove miniere, o dighe

Qui il rapporto https://www.unisdr.org/we/inform/publications/46796

L’accaparramento e lo sfruttamento delle risorse naturali, terra, acqua, legname e minerali é la ragione che ha acceso circa il 40per cento dei conflitti interni ed è tra i motivi della corsa agli armamenti.

Viviamo dunque un momento storico in cui crisi sociale, ecologica e economica si intrecciano. Crisi che ha registrato un’accellerazione notevole con le politiche promosse da fondo monetario internazionale e banca mondiale ceh dagli anni 70 hanno adottato l’ideologia delle crescita sfrenata (per andare chissà dove non ce lo hanno mai spiegato) che i governi della sinistra non hanno avuto remore ad adottare.

In questa logica si inserisce la contraddizione ambiente lavoro, tanto cara ai sindacati italiani che non si fanno tanti scrupoli ad appoggiare opere come la tav o la cementificazione selvaggia senza porsi la questione della riconversione energetica ed economica che chiaramente riguarda anche i posti di lavoro. Ma se le socialdemocrazie hanno sposato le ricette liberista, i partiti dell’estrema destra, con cui ci troveremo ad avere a che fare dopo le europee di maggio, o non parlano affatto dell’emergenza climatica , é il caso del partito fiammingo Vlaams belang o di Alba Dorata in Grecia che nel suo programma prevede lo sfruttamento dei giacimenti petroliferi in Grecia o negano che la questione sia reale, come nel caso di Marine Le Pen, leader del front social in Francia, che parla di complotto comunista per attaccare gli interessi della Francia. In generale comunque, durante l’ultima legisazione europea, i partiti di estrema destra hanno votato contro le
diverse risoluzioni perla transizione alle energie rinnovabili.
https://www.internazionale.it/reportage/marina-forti/2019/03/07/destra-europa-riscaldamento-globale

La politica italiana non é chiaramente seconda a nessuna. Il ministro Salvini ha dichiarato che non è ammissibile giustificare l’immigrazione illegale con i cambiamenti climatici (sic!). A tre anni dagli accordi di Parigi, nonostante gli impegni presi, le politiche del nostro paese non sembrano voler invertire la rotta. Continuano e intensificano le concessioni per le attività estrattive, e la ricerca di idrocarburi, una gestione dei rifiuti che si fonda sulla combustione, grandi opere e cementificazione e dunque impermeabilizzazione del suolo.
Qui i dati Ispra http://www.isprambiente.gov.it/files2017/pubblicazioni/rapporto/copy2_of_RapportoConsumoSuolo2017_0615_web_light.pdf

Non solo, ma nel corso degli anni, gli interventi governativi hanno reso sempre più difficile la partecipazione di enti locali e cittadini.
Nonostante la cecità e la sete di profitto della classe politica e imprenditoriale di questo paese, le resistenze nate a difesa dei territori, della salute, dell’ambiente hanno l’ambizione di ridisegnare un modello di sviluppo territoriale che impieghi le risorse per migliorare la vita e risignificare l’idea di democrazia con la consapevolezza che solo coloro che vivono i territori hanno ben chiaro quali siano le priorità.

Se da una parte le risorse vanno a riempire i portafogli di chi specula e guarda solo al profitto, dall’altra i movimenti ambientali si battono affinche queste risorse vengano impiegate per per la spesa sociale e la messa in sicurezza dei territori.

Le ricette proposte in chiave capitalismo verde non serviranno ad invertire la rotta. Queste continano a fondare le proprie radici nell’idea che la crescita sia funzionale a mantenere il nostro livello di vita.
http://www.cadtm.org/Le-capitalisme-ne-sera-jamais-vert
Cio non solo è falso perché il sistema produttivista non ha come fine quello di soddisfare i bisogni umani ma il profitto ma questa crescita non é mai stata per tutti e tutte e da sempre si è fondata sullo sfruttamento della maggior parte della popolazione mondiale.

Il saccheggio delle risorse, l’espropriazione e la mercificazione sono frutto di scelte politiche consapevoli e riguardano tanto la natura quanto ogni altro aspetto della nostra vita; lavorativo, affettivo e riproduttivo. Per questo motivo la lotta contro i cambiamenti climatici è la faccia della stessa medaglia di chi lotta per rimettere in discussione i rapporti di forza tracciati da patriarcato e capitalismo. IL 23 MARZO CI VEDREMO NELLE STRADE.

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