Pomezia: cronaca di un disastro annunciato ed evitabile!

Abbiamo atteso qualche giorno prima di scrivere un articolo sull’incendio che venerdì 5 maggio ha causato uno dei peggiori disastri ambientali sul nostro territorio. Troppa la rabbia rispetto a questa vicenda..

Non ci dilungheremo nel raccontare gli eventi. In molti in questi giorni lo hanno fatto. Quel che c’è da sapere è che un capannone con il tetto in amianto, contenente materiali usati negli imballaggi (carta, ferro, plastica), e rifiuti speciali e pericolosi, è bruciato.

Giovedì 11 il presidente dell’arpa Lazio, durante la conferenza stampa tenuta presso la procura di Velletri ha dato i dati relativi alle giornate del 5 e 6 maggio e che hanno interessato un raggio di 200 metri dal luogo dell’incendio.

I primi campionamenti raccontano di veleni che hanno sforato di 4000 volte (non è un errore di battitura) il limite massimo consentito.

Nello specifico, per quanto riguarda le diossine, il dato raccolto parla di 77,5 picogrammi al metrocubo. Il limite consentito è di 0,1

Gli idrocarburi trovati in due giorni hanno toccato il livello di 9,1 nanogrammi per metrocubo. Il limite massimo consentito è di 1 nanogrammo per metrocubo all’anno, cioè in 365 giorni e non due.

Per i PCB, cioè i policlorobifenili, il dato si attesta intorno ai 394 picogrammi per metrocubo. Quasi 4.000 volte in più rispetto al limite di 0,1 picogrammi per metrocubo previsto dalla normativa.

Uno sforamento di tre volte superiore al consentito per quanto riguarda le pm10.

Per quanto riguarda i risultati delle analisi del territorio oltre i 200 metri si dovrà ancora attendere, ma già queste parlano di un disastro enorme che interesserà una fetta importante del territorio per molto tempo

Sono responsabili gli enti locali, quelli che avrebbero dovuto vigilare e fare accertamenti prima di concedere autorizzazioni. Quegli enti locali che non hanno preso posizione, dopo che i cittadini che abitano nelle vicinanze del deposito avevano presentato un esposto, notando qualcosa di sospetto. Sul territorio di Pomezia, che pure presenta molte criticità, pare operino solo due vigili ambientali… Il sindaco, intervistato rispetto alle cause dell’incendio, ha suggerito piste mafiose, aggravando la sua posizione: sospettava e non ha fatto nulla? Siamo di fronte all’ennesima tragedia che poteva essere evitata?

Sulla base di che criteri la regione Lazio nel 2010, ha fornito l’autorizzazione allo stoccaggio e al trattamento di rifiuti ad una azienda con il tetto in amianto e senza misure antincendio?

È possibile che non ci sia sicurezza sui materiali che erano stoccati nel sito? Siamo di fronte ad una situazione di illegalità, che ha ben sfruttato quantomeno la negligenza delle autorità.

Quella di Pomezia è una vicenda che tocca anche l’aspetto lavorativo. Sotto quel tetto in amianto, senza un impianto antincendio, ci lavoravano diverse persone. Il fatto che si continui a lavorare, a passare quindi gran parte della giornata in luoghi malsani, urla vendetta.

Il disastro di Pomezia, riguarda anche un pezzo importante di economia di questo territorio, quella agricola. L’ordinanza emessa dalla ASL con la quale si fa divieto di approvvigionamento di derrate e prodotti alimentario riguarda un area di 50 chilometri, scesa mercoledì 10 a 5 km (da 50 a 5!). Solo nel comune di Anzio, sono 150 secondo la Coldiretti, le aziende agricole in ginocchio.

I danni, però, non riguardano solo le zone prossime al sito di stoccaggio. La nube si è spostata, le polveri tossiche sono state spinte dal vento anche a chilometri di distanza. Tutto il nostro territorio è toccato. I suoi imprenditori agricoli, i suoi viticoltori, i piccoli contadini.

Eppure non c’è chiarezza da parte dell’ARPA sulla provenienza dei dati sulla presenza di sostanze inquinanti nell’aria, sui criteri con cui questi dati sono raccolti. E risultano insufficienti le centraline allestite, che sono solo a Ciampino, EUR Fermi (distanti da Pomezia, dunque), e ad Albano. Ogni comune dovrebbe avere una centralina per monitorare costantemente la qualità dell’aria che i cittadini respirano.

La salute di chi vive sul nostro territorio è a rischio, da diversi anni ormai. I disastri ambientali non rimangono confinati entro i comuni e gli effetti che hanno sulle popolazioni si manifestano anche dopo molti anni. L’amianto ne è un brillante esempio. L’insorgere di malattie dovute alla esposizione all’amianto si manifestano anche dopo 20, 30 anni.

La vicenda di Pomezia dimostra per l’ennesima volta che i servizi come quello dello smaltimento dei rifiuti e dello stoccaggio di materiale pericoloso non possa essere affidato a privati. Non possano assolutamente diventare profitto, gestiti al ribasso da ditte non qualificate.

Ma quanto accaduto pone prepotentemente anche un’altra questione, e cioè che tipo di società e che tipo di sviluppo economico immaginiamo per il nostro territorio.

Discariche, inceneritori, turbogas, cemento, progetti speculativi come quello in programma a Nemi e al Divino Amore. Stoccaggio di rifiuti pericolosi demandati a privati e in contesti non idonei, privi della sicurezza necessaria, e nell’illegalità diffusa. Ecco quando ci troviamo di fronte a tutto ciò dobbiamo chiederci a chi gioverà questo tipo di sviluppo. Non certamente a chi vive questi territori. I costi sociali e ambientali non vengono mai presi in considerazione, eppure sono i più importanti, quelli che hanno le ricadute di più lungo periodo. Un anno fa prese fuoco la discarica di Roncigliano e oggi per l’ennesima volta, ci troviamo nuovamente a dover pagare un debito altissimo e lo dovremo pagare per molto tempo, in termini ambientali, di salute e di economia agricola locale.

E ricordiamo che i Castelli erano e sono in parte ancora un territorio a vocazione agricola, noto per i suoi prodotti alimentari di alta qualità. Che sono un luogo turistico, bello, in cui moltissime persone si sono trasferite proprio cercando una migliore qualità della vita, dell’aria.

Abbiamo il dovere di ripensare lo sviluppo del nostro territorio in un’ottica di sostenibilità, di tutela dell’ambiente, della bellezza, e della salute di coloro che lo abitano e che lo amano.

Come invertire la rotta? Come ridare senso ad un principio fondamentale quale è quello di precauzione in materia di ambiente e tutela della salute? Oggi le ordinanze, tardive, parlano di finestre chiuse, divieto di approvvigionamento alimentare per le zone colpite, ma il danno è fatto. E non possiamo correre il rischio che cada nel dimenticatoio, che si passi avanti come se non fosse successo niente. Di fronte alla nostra salute, all’ambiente in cui viviamo, non possiamo restare indifferenti.

Se le istituzioni, come in questo caso, si dimostrano incapaci, tocca a noi cittadini, al controllo popolare.

Per questo vogliamo formulare delle chiare richieste subito:

1. Che i siti che gestiscono i rifiuti siano messi in sicurezza e monitorati costantemente, perché quanto accaduto a Roncigliano e Pomezia non si ripeta mai più.

2. Che la gestione torni ad essere pubblica e che vengano forniti costantemente i dati alle popolazioni.

3. Che gli ospedali dei Castelli e del Litorale a noi vicino si dotino di un osservatorio, che possa monitorare e raccogliere dati statistici sull’insorgenza e la diffusione dei tumori.

4. Che l’ARPA predisponga più centraline per il controllo dell’aria nei nostri comuni. Che controlli periodici vengano fatti sui terreni e sui nostri alimenti.

5. Che, dopo quanto successo, siano predisposti screaning per i tumori gratuiti e gli esami necessari.

6. Che si proceda immediatamente alla bonifica di tutto il territorio interessato e che questa avvenga sotto controllo popolare.

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