Il Governo Salvini, perché per ora di questo si tratta, desta grande preoccupazione a sinistra, o in quel che ne è rimasto. Una paura giustificata dallo stile rozzo del leader leghista che sta ricalcando passo passo lo schema comunicativo aggressivo e violento utilizzato da Trump negli USA. Uno stile che serve a trascinare l’elettorato inferocito dalla crisi e dalle trasformazioni economiche su scala globale verso un tentativo di riassestare le economie nazionali in chiave sovranista e protezionista. Un linguaggio aggressivo che polarizza l’opinione pubblica e paga tanto in termini di consenso (gli ultimi sondaggi americani e italiani lo dimostrano) e che mobilita l’elettorato.
Tale discorso non produce solo effetti retorici e passivi, non è cioè relegato unicamente alla violenza dei discorsi sui social. Produce infatti effetti concreti nei confronti di quello che è stato dipinto come il nemico pubblico numero uno delle economie nazionali europee vittime della crisi liberista. Effetti concreti ben testimoniati dalle continue violenze nei confronti dei migranti presenti in Italia e in Europa, dagli assassinii e i tentativi di omicidio fino alle vicende totalmente disumane che si stanno verificando nel Mediterraneo. Effetti concreti che si vedono nei luoghi della pubblica amministrazione italiana (nelle questure, nelle commissioni, nell’accoglienza…) dove le prassi illegittime contro gli stranieri si acuiscono peggiorando la loro vita e mettendoli costantemente a rischio irregolarità.
Il clima è pesante, pericoloso, ma occorre fermarsi un attimo a ragionare perché l’emotività con cui molti stanno reagendo alle sparate del Ministro degli Interni non aiuta a comprendere il fenomeno e probabilmente non aiuta ad affrontarlo. Nessuna volontà di minimizzare, sia chiaro, ma non si può reagire ad ogni singola sparata di Salvini aizzandosi contro l’ignorante elettore italiano, contro il suffragio universale o contro l’analfabetismo funzionale dilagante nel paese.
Si dovrebbe invece partire da una constatazione semplice e quasi banale: Salvini è perfettamente il linea con le politiche migratorie degli ultimi anni adottate tanto dai governi democratici come da quelli di centro-destra. Una continuità che si differenzia finora solo nello stile salviniano, ma non nei fatti. Blocchi navali (ricordate il blocco navale di Prodi contro le navi albanesi?), accuse contro le Ong, rimpatri forzati, accordi con paesi terzi per appaltare loro il controllo dello spazio economico europeo. Sul tema delle migrazioni questo governo rappresenta la totale conservazione rispetto alle politiche sulla mobilità umana dai Paesi poveri verso il mercato europeo. Altro che governo del cambiamento!
Salvini, Orban e i sovranisti occidentali sono il prodotto naturale e prevedibile di circa venti anni di discorsi xenofobi, securitari e coloniali nei confronti dei migranti. Rappresentano il risultato scontato e violento dell’utilizzo del razzismo come strumento di gestione del liberismo e della crisi, strumento adottato dalla destra in tutte le sue sfumature, ma ancora di più dai governi di centrosinistra. Senza l’impianto della Turco-Napolitano non sarebbe mai esistita la Bossi-Fini, così come senza la campagna denigratoria contro i salvataggi in mare orchestrata da Frontex e da Minniti nel 2017, oggi Salvini non potrebbe fare ciò che sta facendo con le Ong. Quindi inutile scandalizzarsi, inutile lanciare battaglie moralistiche o allarmistiche.
Salvini non è semplicemente il male assoluto, Salvini è l’esito prevedibile dell’utilizzo dei migranti come corpo su cui scaricare le tensioni e le paure che l’applicazione delle ricette liberiste e di austerità post-crisi hanno creato. Salvini è l’esito di un sistema economico che dopo anni di crisi svela la sua vera natura nella lotta contro i poveri e nella guerra razzista contro gli stranieri.
Ma il razzismo non è solo pretesto per ottenere consenso all’interno delle dinamiche di crisi e impoverimento, così come non si pone realmente come fine quello di impedire le migrazioni. L’obiettivo non detto, ma presente, delle politiche migratorie razziste è la produzione delle condizioni di ricattabilità del migrante, al fine di inserirlo in settori importanti della nostra economia (logistica, agricoltura, lavoro di cura…) senza diritti e soprattutto con la paura di perderli.
Per uscire da questa logica si deve chiaramente ripartire dal conflitto e dalla rivendicazione di diritti. Dovremmo ripartire anche noi cittadini da lì, incalzando e inseguendo questo governo non sulle singole sparate del Ministro degli Interni, ma sui temi della precarietà e dei diritti sul lavoro.
Bisognerebbe ripartire insieme, unendo le rivendicazioni degli sfruttati e dei subalterni, partendo dall’elemento che accomuna migranti e nativi nel mercato del lavoro: la ricattabilità.
Al netto delle enormi differenze, chi oggi entra nel mercato del lavoro frammentato e precario vive nella paura costante di esserne espulso, che sia straniero o che sia nativo. La grande differenza da non sottovalutare, è il privilegio della cittadinanza di cui gode il cittadino che pur garantendo sempre meno diritti sociali, lo tutela da quella che per lo straniero è una minaccia costante: l’espellibilità dal territorio.
Una minaccia che per lo straniero esiste da quando il TUI ha sancito definitivamente il nesso tra contratto di lavoro e permesso di soggiorno e che è ancora più forte oggi, con la quasi totale profughizzazione dei flussi migratori che impone di entrare nello spazio economico europeo solo dopo aver superato la selezione naturale della frontiera e del traffico di esseri umani rendendo gli individui ancora più deboli e ricattabili.
Il razzismo lo batteremo se comprenderemo che non è un prodotto culturale dell’ignoranza diffusa o semplicemente un problema etico, ma elemento costitutivo di un sistema economico basato sullo sfruttamento. Combattere contro lo sfruttamento oggi è l’unica arma che abbiamo per combattere il razzismo.
nicolas liuzzi
Il disegno è stato realizzato da Zerocalcare per l’USB.