Perché IL 4 Dicembre voteremo NO alla riforma costituzionale

BeFunky_HDR_1Il 4 Dicembre si voterà’ per il referendum sulla riforma costituzionale. Habemus papam! Molti hanno esclamato appena ufficializzata la data del voto la cui campagna elettorale già’ serpeggia almeno da Giugno.

Cosa c’è’ in ballo in questa scadenza?
Molti pensano sia inutile e inopportuna o ennesimo rituale di uno spettacolo che non cambia mai. Sentono il tema distante anni luce rispetto alle difficoltà quotidiane. Come dargli torto. Però forse guardandosi indietro e’ proprio snobbando alcuni passaggi politici del nostro paese, che abbiamo perso occasioni su occasioni per evitare questo lento impoverimento.


Così ci hanno tolto l’art.18, così ci hanno tolto un welfare state degno di questo nome, così ci hanno tolto una scuola veramente buona e pubblica e così via. Ogni volta che si e’ attaccato un diritto c’ è stato sempre presentato come «riforma»: la riforma della scuola, la riforma del lavoro, la riforma della sanità’ ecc. ecc.
Anche oggi infatti ci chiamano ad esprimerci su una riforma. Stavolta su cosa vogliono mettere le mani? Semplice, su quel poco di spazio di agibilità’ democratica rimastaci con la nostra Costituzione.

La crisi economica in atto ha evidenziato come in questa fase storica il sistema capitalistico, non è in grado di garantire una serie di diritti sociali e civili. Lo abbiamo visto in Grecia dove hanno strozzato un referendum che a gran voce diceva basta austerità. Lo abbiamo visto in molti paesi europei dove i governi di grandi coalizioni, minestroni di centro destra e centro sinistra insieme, hanno attuato le stesse politiche, in tema di lavoro, in tema di immigrazione, in tema di gestione dei servizi pubblici. C’è poco da fare, oggi la democrazia rappresentativa non va più’ d’accordo con le logiche neo-liberiste.
Per cui in una fase di ristrutturazione neoliberista, c’è bisogno di ridisegnare anche le vecchie democrazie, ma non in chiave progressista, ovviamente. Oggi infatti si strizza l’occhio alle oligarchie. Anche da colonne di autorevoli testate nazionali cosiddette progressiste, viene sostenuta questa idea. La politica deve essere appannaggio di poche élite con un certo potere economico. Lo scontro è relegato a loro.
Le rappresentanze del lavoro ormai già da anni non sono più’ in Parlamento e nelle istituzioni. Logica conseguenza di un processo che già’ nei posti di lavoro aveva visto la rappresentanza imbavagliata.
Qualcuno, si spera, ancora ricorderà’ cosa avvenne quando, sempre con un referendum, si decise il futuro dei lavoratori negli stabilimenti FIAT. Marchionne vincendo quel referendum sul suo piano di riorganizzazione di una delle più’ grandi aziende in Italia, ha permesso di cancellare ogni forma di resistenza rimasta nei luoghi di lavoro. Di lì a poco, il Governo Renzi ci ha portato al JobActs.
Riforma che ha regalato soldi pubblici agli imprenditori, in cambio di una manciata di finti posti di lavoro. Oggi infatti finiti gli sgravi fiscali, ritornano i licenziamenti.

Questa riforma costituzionale anche in tema ambientale vuole ribadire il tentativo di silenziare tutte quelle resistenze locali contro la devastazione ambientale sparse ormai ovunque. La riforma del Titolo V prevede la riformulazione dell’art.117 che introduce la clausola di supremazia “Su proposta del governo, la legge dello Stato può intervenire in materie non riservate alla legislazione esclusiva quando lo richieda la tutela dell’unità giuridica o economica della Repubblica, ovvero la tutela dell’interesse nazionale.” La formula offre all’esecutivo spazio per molteplici forzature: invocando l’interesse nazionale (leit-motiv dell’ultimo decennio) sarà possibile imporre politiche e progetti invisi agli enti locali e alle comunità chiamate a pagarne i costi economici, ambientali, sociali e sanitari. In estrema sintesi la riforma aiuta  l’ufficializzazione di una prassi di sospensione democratica come i commissariamenti, già arbitrariamente utilizzata, come per i rifiuti nella nostra Regione. Nell’ultimo decennio il massiccio ricorso alla gestione commissariale e allo stato di emergenza,  ha imposto un meccanismo autoritario di comando e di controllo come risposta all’emergere delle istanze dal basso che hanno voluto esprimere la volontà’ di decidere su come gestire il territorio e i beni comuni.

A questo gioco oggi non possiamo che ribadire un nostro NO anche per le stesse motivazioni che ci hanno fatto dire NO alla privatizzazione dell’acqua, NO al nucleare, NO agli inceneritori e alle discariche, NO alle trivellazione, NO alla Tav.

Lo scontro dietro al referendum è quindi su quale idea di democrazia oggi vogliamo darci. Noi crediamo sia necessario rifondare questa democrazia rappresentativa ormai non più’ in grado di recuperare il gap tra politica e società’, con un’idea di democrazia partecipata, capace di riportare a discutere le persone sui temi reali, dove le istanze dal basso vengano valorizzate e non criminalizzate. Il nostro quindi non è un NO conservativo, statico, aggrappato alle vecchie logiche. Intorno al NO notiamo con un certo fastidio molti opportunisti di turno che cercano di rimettersi in ballo dopo la rottamazione renziana.
Oppure vediamo arrancare dietro al No lˈantipolitica a cinque stelle che alla fine dei conti continua a ripetere gli stessi automatismi della vecchia politica. ʟe aspettative lanciate dal grillismo, sui cittadini al potere, l’apertura come una scatola di tonno del Parlamento, la democrazia dal basso perchè uno vale uno, sono rimaste solo slogan, anzi su come eleggere il nuovo parlamento il m5S ha delle affinitaˈ col PD renziano.

Stavolta proviamo a evitare di farci scippare ulteriormente.
Basta un NO.

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