LA COSIDDETTA “CRISI DEI RIFUGIATI” IN DIECI PUNTI

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di Miguel Urban – Eurodeputato di Podemos

“Non ci piace che ci chamino rifugiati. Tra di noi preferiamo chiamarci appena arrivati o immigrati”. Così iniziava il testo di Hannah Arendt, “Noi i rifugiati”, scritto all’arrivo negli Stati Uniti dopo la fuga dai campi di concentramento nazisti. Poco più di settant’anni dopo il Presidente del Consiglio Europeo, Donald Tusk, ha avvertito i potenziali migranti economici “clandestini” di non tentare di arrivare in Europa perché nessuno Stato membro d’ora in avanti si presterà ad essere paese di transito.

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Ciao Sekine che questa terra possa esserti lieve.

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Sekine Traore. 27 anni. Maliano. Poche informazioni che non restituiscono niente di una vita intera, ma che possono già aiutare a ricostruire come Sekine sia finito a lavorare a Rosarno, come sia arrivato in Italia e che cosa abbia dovuto affrontare per raggiungere quest’Europa. Sekine Traore. Sekine Traore. Ripeto il nome decine di volte, perché mi sembra di conoscerlo già, ma sulle prime non riesco a capire. Sekine Traore, 27 anni, maliano. Sekine! Io Sekine l’ho conosciuto. Io e tanti altri che lavorano nell’accoglienza in questa città. Mantengo la speranza per un po’, sperando in un caso di omonimia, d’altronde Traore è un cognome diffusissimo tra i maliani, ma alla fine una foto su internet mi conferma quello che speravo non fosse vero. Sekine Traore ha vissuto a Roma prima di andare in Calabria, in un centro di accoglienza per senza fissa dimora dove è stato accolto e dove ha ricevuto assistenza e aiuto per poco meno di un anno. Un centro in cui è finito dopo essere uscito dai percorsi di accoglienza destinati ai richiedenti asilo come lui, percorsi il più delle volte insufficienti a dare dignità ed autonomia, spesso incapaci di affrontare con mezzi adeguati i traumi che molti si portano dietro. È una volta che si esce da lì il cammino sembra essere segnato: la strada, gli insediamenti informali ai margini delle città o i ghetti delle campagne meridionali dove la criminalità organizzata o gli imprenditori agricoli capitalizzano al meglio le politiche escludenti nei confronti dei migranti. Il percorso di Sekine è stato proprio questo ma si è interrotto brutalmente davanti ad un carabiniere che non ha saputo fare altro, davanti ad un ragazzo di 27 anni, probabilmente impaurito e scosso, con in mano un coltello di cucina e nient’altro, che premere il grilletto.

L’unica forma di Stato che Sekine ha trovato a Rosarno lo ha assassinato.

Era un ragazzo come tanti Sekine, come i migliaia che lasciano l’Africa per scappare dalle guerre, dalle persecuzioni o semplicemente dalla fame e dalla miseria che l’Occidente ha gentilmente lasciato loro in eredità dopo secoli di colonialismo e rapina. Un ragazzo come tanti che affrontano un viaggio interminabile e pericolosissimo che quando non uccide lascia ferite invisibili che cambiano per sempre la vita di queste persone. Traumi che sorgono in una delle tante tappe di queste rotte infinite, che sia il deserto, la prigione a cielo aperto che da anni è la Libia o il cimitero di acqua che ormai è diventato il Mediterraneo. Ferite che piegano per sempre e che lasciano segni indelebili che avrebbero bisogno di cure e percorsi specifici che raramente trovano.

Ma oggi, mentre corriamo il rischio concreto che Schengen crolli su se stessa, mentre in Grecia migliaia di persone sono intrappolate senza poter decidere autonomamente della loro vita, sembra proprio che le politiche sull’immigrazione di questa Unione Europea e degli Stati membri, abbiano un solo obiettivo: non esclusivamente impedire a migliaia di persone di essere accolte dignitosamente, ma sfiancare quelle che arrivano e trasformarle in corpi docili e ricattabili, non senza diritti, ma senza il diritto ad averne. La Fortezza in cui siamo arroccati, fatta di razzismo istituzionale e xenofobia dilagante, di sfruttamento e schiavismo e di tanti che hanno speculato e continuano a farlo su queste tragedia, non può che avere questo obiettivo.

La storia di Sekine ci parla di questo ed è per lui che dobbiamo gridare a gran voce che i morti nel Mediterraneo hanno dei mandanti con nomi e cognomi che siedono nelle istituzioni europee e nei governi nazionali; che lo sfruttamento nella campagne italiane, dove tanti rifugiati e migranti sono costretti ad accettare paghe vergognose, è possibile grazie a precise leggi e all’assenza totale di controlli da parte dello Stato; che è ora di dire basta ad un’accoglienza emergenziale e concentrazionaria che annulla i diritti e la dignità dei singoli e impedisce la costruzione di reali percorsi di autonomia e sostegno; che è ora di piantarla con una gestione securitaria ed allarmistica del fenomeno migratorio che dà ogni giorno linfa vitale alla xenofobia e al razzismo. Lo dobbiamo fare per Sekine e per le migliaia di persone che perdono la vita nel tentativo di forzare la muraglia che i governi hanno innalzato tra noi e loro. Ma lo dobbiamo fare anche per noi, per quella generazione europea che ha gli stessi anni di Sekine, le stesse speranze e la stessa voglia di dignità che ogni giorno viene calpestata da un’austerità che rende anche noi sempre più precari e insicuri. Lo dobbiamo fare per impedire che l’Europa diventi patria dello sfruttamento e del razzismo e per rivendicare, invece, l’apertura delle frontiere, la solidarietà, l’accoglienza dignitosa.

Lo dobbiamo fare perché Sekine potremmo essere tutti noi.

Ciao Sekine, che questa terra che ha spezzato i tuoi sogni, che ti ha emarginato, sfruttato e infine ucciso, possa esserti lieve.

Nicolas Liuzzi

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OccupyVillaLusi

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Il 31 marzo 2016 la Corte d’Appello ha condannato l’ex senatore ed ex tesoriere della Margherita lusi a 7 anni di carcere e alla confisca dei suoi beni, accusato di aver sottratto indebitamente circa 25 milioni di euro dalle casse del partito di Rutelli. 25 milioni fatti sparire magicamente grazie agli stessi artifici finanziari che i grandi evasori ben conoscono: scatole cinesi all’estero, prestanome, scudi fiscali, società aperte in paradisi fiscali… Tutti escamotage che permettono a pochi privilegiati di rubare milioni su milioni ai danni di tutti noi.

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Il 17 aprile votiamo SI contro le trivelle!

Il prossimo 17 aprile si voterà sulle trivelle. Votando SI si eviterà che i permessi di trivellazione per la ricerca di idrocarburi entro le 12 miglia delle acque territoriali italiane possano essere rinnovati oltre la data di scadenza delle concessioni, per tutta la “durata della vita del giacimento”, come invece previsto dall’art. 38 dello Sblocca Italia.

La posizione del governo Renzi sul referendum è risultata da subito molto chiara: bisogna parlarne il meno possibile e, qualora si tocchi l’argomento, l’indicazione è solo una, non andare a votare.

In questo modo quello che viene considerato come uno dei massimi strumenti di espressione democratica viene ridotto dalla compagine governativa a un mero problema economico. La decisione di non accorpare la data del voto a quella delle elezioni amministrative del prossimo giugno, oltre a costare alle casse statali più di 300 milioni di euro, sottolinea la chiara intenzione di impedire il raggiungimento del quorum e quindi la validità del referendum stesso.

Questa strategia, perfettamente in linea con il modus operandi dell’attuale esecutivo, punta ancora una volta a limitare ed escludere la partecipazione popolare nei processi decisionali. Non è difatti casuale la scelta di fissare la data del referendum a poche settimane dall’approvazione del quesito da parte della Corte Costituzionale, con il fine di impedire la costruzione di una campagna informativa  sufficientemente ampia e ragionata, come invece avvenne per il referendum sull’acqua pubblica.

Ancora una volta alla tutela dei territori e della salute dei cittadini vengono anteposti gli interessi economici dei soliti noti: stando ai dati del Ministero dello Sviluppo Economico le riserve di petrolio certe nei nostri fondali marini ammontano a circa 7,6 milioni di tonnellate, sufficienti a soddisfare il fabbisogno nazionale per solo 7 settimane, mentre gli effetti dell’attività estrattiva sull’ecosistema e sulla salute delle persone sono duraturi. In aggiunta, sempre in base ai dati forniti dal Ministero dello Sviluppo Economico, il valore delle royalties legate all’estrazione del greggio entro le 12 miglia hanno fruttato alle casse statali appena 38 milioni di euro nel 2015, una cifra che possiamo tranquillamente definire irrisoria in termini di un’analisi costi benefici.

Risulta quindi molto curioso che il governo difenda il rinnovo delle concessioni presentandolo come un passaggio di fondamentale importanza per la sicurezza energetica del paese, ricordiamo infatti che le attività estrattive entro le 12 miglia soddisfano appena il 3% dei consumi nazionali di gas e meno dell’1% di quelli di petrolio, frustrando in questo modo le già vaghe promesse espresse durante la COP21 di una “vicina e necessaria” transizione energetica verso le energie rinnovabili.

Ben consapevoli della particolarità del referendum del 17 aprile, ( per la prima volta nella storia italiana ci si esprimerà su un quesito presentato dalle regioni e non di iniziativa popolare, con tutto ciò che ne consegue) riteniamo che andare a votare sia ora più che mai di fondamentale importanza.

Il 17 aprile vota SI per impedire il rinnovo delle concessioni entro le 12 miglia.

 

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Il 9 aprile contro gli inceneritori a Colleferro!

Sabato 9 Aprile ci troverete a manifestare per le strade di Colleferro perchè gli inceneritori non li vogliamo! Dopo aver evitato la realizzazione dell’inceneritore di Albano oggi il problema per la nostra salute si ripresenta poco più a sud, nella Valle del Sacco. La Regione Lazio continua a sostenere l’operazione di una holding sui servizi pubblici capitanata da Ama-Acea, la stessa che insieme alla Pontina Ambiente del patron dei rifiuti Manlio Cerroni voleva incassare i finanziamenti pubblici per la realizzazione dell’impianto di Albano. Ora, con Cerroni sotto processo per associazione mafiosa, ci riprovano a Colleferro dove due linee di incenerimento già ci sono.
Il  Governo nazionale invece di pensare a come bonificare i danni provocati da questi ecomostri, con l’art. 35 dello Sblocca Italia incentiva la costruzione di nuovi impianti di incenerimento, a cui viene attribuita addirittura una una funzione strategica. Quindi a Colleferro gli inceneritori potranno continuare a bruciare anche rifiuti fuori regione, mandando letteralmente in fumo i tentativi di una gestione alternativa basato sulla raccolta differenziata. Continua a leggere

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Contro i fascisti vivi e morti

Oggi 30 marzo 2016 si è aperto il processo contro i compagni che il 15 ottobre 2013 hanno partecipato ad Albano alla rivolta popolare contro i funerali di Erich Priebke, il famigerato boia delle Fosse Ardeatine responsabile del martirio di 335 persone, di cui almeno 30 provenienti dalla zona dei Castelli Romani.
Ricordiamo Marco Moscati, ventiquattrenne albanense che, unitosi alle brigate partigiane dei Castelli Romani, diede un importante contributo alla resistenza antifascista partecipando ad azioni di sabotaggio. Il 24 marzo 1944 morì insieme al fratello e il suo corpo rimase senza nome sino al 2012. Continua a leggere

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25/03: Tifiamo Rivolta!

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St. Pauli è il nome del quartiere portuale di Amburgo e della sua squadra di calcio. Un quartiere segnato da mille contraddizioni: da sempre punto di forza dello sviluppo commerciale della città e luogo di lotta; focolaio di resistenza all’ascesa delle squadre naziste e sede di insurrezioni sempre fallite.
Nella prima metà degli anni Ottanta il quartiere è segnato da miseria e abbandono, ma rinasce attraverso i palazzi occupati della Hafenstraße, roccaforte del movimento autonomo e crocevia di tutte le battaglie politiche e sociali dell’epoca, e il Millerntor, piccolo stadio di calcio, all’interno del quale, sotto la bandiera dei pirati e al grido di «Mai più guerra, mai più fascismo, ma più serie C», prende forma una nuova tifoseria e un nuovo modo di intendere il calcio.
Il St. Pauli FC, squadra con la fama di «club di perdenti», diventa così la bandiera calcistica della sinistra radicale, della scena squat, degli antagonisti e dei punk dell’intera Germania. Grazie ai tifosi e alle loro battaglie contro il razzismo, prima sulle gradinate e poi all’interno della struttura societaria, il St. Pauli FC diventa il simbolo di una comunità sincera, capace di esprimere la passione popolare per un calcio liberato da ogni forma di discriminazione.
Un libro che non è solo il ritratto di una tifoseria simbolo internazionale di antagonismo, ma anche la storia di un quartiere da sempre ribelle che, negli anni Ottanta, diventa il luogo di maggiore concentrazione della scena radicale tedesca.

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Roma non si vende. Verso il corteo del 19 marzo

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#RomaNonSiVende: Appello per una mobilitazione cittadina per il 19 Marzo

Da mesi un nuovo equilibrio si è stabilito a Roma. Un equilibrio che supera le istituzioni democratiche e applica attraverso la gestione prefettizia le ricette decise dal governo Renzi e dall’Europa. Il Dup (Documento unico di Programmazione) firmato da Tronca è un concentrato di queste misure: imposizione di tagli lineari, privatizzazione dei servizi, alienazione del patrimonio pubblico sacrificando sull’altare del debito di Roma Capitale i beni, gli spazi e i servizi pubblici della città. Un documento che lascia pochi margini di manovra a chi si candida a governare Roma e poche speranze ai romani sempre più privati di servizi essenziali.

Il Dup rappresenta bene la gabbia di una città incastrata fra una politica istituzionale clientelare e corrotta incarnata dalle giunte degli ultimi anni, e la trappola dell’obbedienza cieca al patto di stabilità. Una gabbia che non lascia spazio alla democrazia, ma che al contrario traduce la fase di eccezionalità, iniziata con Gabrielli a seguito dello scandalo di Mafia Capitale, in fase di normalizzazione dell’era Tronca. Il risultato è una città governata da un gruppo di prefetti i quali, protetti dalla loro veste di “tecnici”, hanno il compito di applicare il principio di austerità senza se e senza ma, sancendo la priorità dei vincoli di bilancio rispetto alla garanzia dei diritti fondamentali.

L’imposizione incondizionata di sacrifici imposti ai lavoratori ed alle lavoratrici delle aziende partecipate di Roma Capitale con il conseguente blocco della contrattazione, le minacce di inutili privatizzazioni con contestuale licenziamento di migliaia di lavoratori precari come nel caso di educatrici, maestre, lavoratori dell’accoglienza e dei canili comunali, il lavoro notturno non più retribuito, la negazione sia del riconoscimento della clausola di salvaguardia sociale che l’accesso alla cassa integrazione sono gli esempi più lampanti della pericolosa precipitazione della gestione Tronca. Tutti ciò mentre nello stesso DUP si certifica una carenza di personale pari ad 8.000 unità e gli organi di stampa conducono una campagna denigratoria nei confronti dei lavoratori capitolini, ATAC ed AMA in primis, tacciandoli di “fannullaggine”.

Ma siamo certi che la città sia d’accordo con questa linea? E’ davvero inevitabile sacrificare servizi e diritti conquistati in anni di lotte, per gettare qualche moneta nel pozzo nero del debito di Roma? E questo debito, siamo sicuri sia davvero un dogma intoccabile? Tante realtà diverse si stanno ponendo le stesse domande, alcune di queste si incrociano e si confrontano, altre non si conoscono ma scoprono di parlare la stessa lingua.

Le centinaia di sfratti per morosità incolpevole, le minacce di sgomberi per spazi romani, che colpiscono non solo centri sociali e le occupazioni abitative, ma associazioni, coworking, comitati, e tante altre micro-realtà, stanno suscitando una risposta che passa per partecipatissime assemblee, come quella ad Esc a fine gennaio, e come le ultime riunioni cittadine a casale Falchetti. Da questi momenti di confronto è sempre più forte l’esigenza di mettersi su un piano della discussione globale, che sia in grado di leggere la complessità della sempre più drammatica situazione che la città di Roma soffre.

Sappiamo bene che gli attacchi ricevuti sono in totale continuità con i processi attivi sulla metropoli e, per questo, crediamo sia necessario imporre una svolta al pericoloso tentativo di “riscrittura” della nostra città. Una svolta che vede negli sgomberi e nei tagli dei servizi due facce della stessa medaglia. Una svolta che riguarda tutte e tutti: da chi fa politica attiva nei territori, a chi semplicemente si muove con i mezzi pubblici o manda i propri figli ai nidi comunali.

In assenza totale di spazi di democrazia, il rischio di essere schiacciati da un “tallone di ferro” che impone la finanziarizzazione della metropoli è una questione che deve essere affrontata collettivamente. C’è bisogno di una risposta cittadina, ampia e partecipata, che possa aprire nuovi spazi decisionali e nuovi conflitti, contro la cappa prefettizia e giubilare e che dica chiaramente che #RomaNonSiVende. Tronca deve essere bloccato e l’emendamento del DUP e del bilancio di previsione di fine Marzo ribaltato. E’, a nostro avviso, necessaria una risposta visibile, che sfili nelle strade della capitale con tutte e tutti coloro che vogliono una Roma diversa, mentre Tronca e i suoi tecnici scorrono i tasti sulla calcolatrice della vendita delle nostre vite.

Coscienti che un percorso di questa portata ha bisogno di ulteriori momenti di confronto dove auspichiamo continuino a convogliare le tante realtà in lotta che fanno di Roma una città che non si arrenderà facilmente all’arroganza della finanza e delle politiche economiche europee ed internazionali; per un percorso che non sia tra “addetti ai lavori”, ma nel quale ogni cittadino si senta coinvolto, per un percorso partecipato, espansivo e, soprattutto in divenire, promuoviamo tutti insieme gli spazi sociali, il sindacalismo di base e conflittuale, i movimenti per il diritto all’abitare, le cooperative sociali, le realtà dei lavoratori autorganizzati, i comitati di quartiere una manifestazione cittadina per il 19 Marzo. Perché non vogliamo farci s-Troncare, ma vogliamo vivere in una città in cui fioriscano i diritti

Il Dup S-Tronca Roma, stronchiamo il DUP insieme

#RomaNonSiVende

https://www.facebook.com/Roma-Comune-862504130482228/

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28/02: Proiezione di “The Square”

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Cinque anni fa il Medio Oriente e il Nord Africa sono stati attraversati da una serie di rivoluzioni, le prime del millennio, che hanno portato milioni di persone in piazza per chiedere pane, libertà, dignità e giustizia.
A cinque anni dallo scoppio di quell’enorme processo rivoluzionario che ha visto contestare le ultradecennali dittature di Tunisia, Egitto, Yemen, Libia, Bahrein e Siria gli stivali della repressione sono tornati ad opprimere i popoli della regione, spesso con l’avallo esplicito o tacito di alcuni settori della sinistra.
Emblematico è il caso dell’Egitto dove nel 2013 l’esercito, un Moloch politico ed economico che controlla gran parte della vita del paese, ha approfittato delle enormi mobilitazioni che chiedevano la cacciata del presidente Mohammed Morsi per attuare un colpo di stato militare ed iniziare una schiacciante campagna repressiva contro ogni forma di opposizione interna carcerando, condannando a morte e facendo sparire nel nulla gli attivisti rivoluzionari, militanti dei fratelli musulmani, gli esponenti del movimento sindacale, i giornalisti ed accademici, l’ultimo dei quali, Giulio Regeni, è stato barbaramente torturato ed ucciso poche settimane fa.

Per questo domenica 28 febbraio alle 18:00 a Via Guidobaldi 56 (Genzano) proietteremo il film The Square, documentario che da voce agli attivisti che dal 2011 al 2013 hanno animato le mobilitazioni al Cairo, e discuteremo di come costruire una solidarietà internazionalista che combatta repressione, autoritarismo e lo sfruttamento padronale su ogni sponda del Mediterraneo.

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Tre anni di Ri-Maflow: il mutuo soccorso non si può arrestare!

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Abbiamo festeggiato in questo inizio del 2016 il terzo anno di RiMaflow: il percorso di riappropriazione e di rimessa in funzione della produzione in autogestione da parte degli ex operai della Maflow di Trezzano sul Naviglio. Il progetto iniziale si fondava sul riuso e riciclo di apparecchiature elettriche ed elettroniche in direzione di una scelta ecologista, frutto di una decisa scelta politica indubbiamente rafforzata dalla crisi economica e ambientale che stiamo vivendo.

Ma, come tutte le sperimentazioni – e in particolare per quelle che intendono costruire un’attività economica attraverso un risarcimento sociale da parte della proprietà e non attraverso l’indebitamento della lavoratrici e dei lavoratori licenziati – era necessario sottoporre a verifica la concreta possibilità di cimentarci con il ciclo di smaltimento dei rifiuti, perché di questo si tratta quando si vogliono recuperare le materie prime da elettrodomestici, pc e così via. In secondo luogo, andava (e va) contemperato il progetto di fondo con la produzione di reddito immediato in assenza di capitali alle spalle, sia per vivere (gli ammortizzatori sociali sono terminati da un pezzo), sia per pagare le utenze e tutto il fabbisogno quotidiano di un’area di 30mila metri quadrati.

È per questo che si era sviluppato il mercato dell’usato, come circuito virtuoso che consentisse a noi e a un altro centinaio di disoccupati di ‘far girare’ la piccola economia di sussistenza di RiMaflow: vendita di oggetti da svuotamento di cantine e uffici, piccole riparazioni, bar, ristorazione popolare e attività culturali e di spettacolo.
Questo meccanismo di autofinanziamento ha funzionato bene per oltre due anni, consentendoci di pianificare quelle attività di produzione in direzione ecologista che avevamo in programma: il riciclo (RAEE e bancali in legno), ma anche la distribuzione e trasformazione dei prodotti agricoli delle realtà contadine che si collocano in alternativa alla grande distribuzione (GDO), da SOS Rosarno al Parco agricolo Sud Milano.

I bastoni fra le ruote da parte di chi dovrebbe aiutare i cittadini

Tutto bene finché, più che la proprietà (UniCredit),l’amministrazione comunale di Trezzano, eletta nel 2014 dopo un periodo di commissariamento prefettizio (il Sud-Ovest milanese è ad altissima densità mafiosa), ha iniziato a comminare una raffica di denunce, accompagnate da sanzioni economiche in nome di una “legalità” del tutto arbitraria (come la presunta violazione del PGT per aver avviato attività commerciali in area industriale!). Provvedimenti che paradossalmente hanno colpito sia RiMaflow che la stessa proprietà, creando un cortocircuito infernale, mentre fino ad allora avevamo potuto destreggiarci tra quelle contraddizioni che si verificano sempre al momento della chiusura di uno stabilimento, con tutti gli strascichi legali che normalmente ne conseguono.

Ciò ha rappresentato un colpo gravissimo a tutto il progetto di recupero della fabbrica, da cui siamo riusciti ad uscire da una parte sacrificando il mercato dell’usato interno, il bar e il piccolo ostello per migranti (ritenuto “albergo abusivo”!), e dall’altra vincendo politicamente il braccio di ferro col Comune, grazie al forte appoggio di tutto o quasi l’associazionismo del territorio. In sede di Prefettura a Milano sono state ritirate denunce e sanzioni e si è posta formalmente sul tavolo la “regolarizzazione dell’occupazione”attraverso un contratto di comodato d’uso, come ci eravamo ripromessi fin da subito. Sulla base dell’esempio delle fabbriche recuperate argentine, la conquista del titolo giuridico per avviare un’attività economica con lavoratori in regola e non al nero è un punto imprescindibile.

Ora siamo nel pieno dell’attuazione di questa nuova fase. Il mercato dell’usato non è più all’interno del sito, ma il Comune ha dovuto concedere uno spazio fisso apposito in una zona centrale di Trezzano ai circa 50 espositori organizzati nell’Associazione Occupy Maflow, che da mesi ormai sviluppano un proprio progetto economico. Dopo mesi di gravi difficoltà materiali siamo ora ritornati al livello delle entrate precedenti, garantite un tempo dalla presenza del mercato interno, attraverso la realizzazione di numerosi laboratori artigianali raggruppati nella “Cittadella dell’altra economia”: tre falegnamerie (di cui una per recupero bancali), tappezziere, riparazione pc-cellulari-elettrodomestici, creazioni artistiche con riuso materiali, modellistica e restauro mobili.

Il buon rapporto costruito con il territorio è stato ed è fondamentale per il consolidamento dell’esperienza. Tra le tante iniziative, sicuramente la donazione di 30 pc da parte del nostro laboratorio alle scuole di Trezzano ha creato una fortissima simpatia da parte degli insegnanti e delle famiglie, ricambiata da visite reciproche e gesti di solidarietà concreta. Così come le attenzioni alle esigenze dei Comitati di quartiere, alle cooperative sociali dei disabili, all’Anpi, ai boy scout dell’Agesci e alle attività antimafia promosse dalla sede regionale di Libera, insediatasi in uno dei numerosi beni confiscati alla ‘ndrangheta a poca distanza da RiMaflow.

È su questa onda che si è arrivati a dar vita a una ATS, associazione temporanea di scopo, dal significativo nome di “Casa del Mutuo soccorso”, tra la Cooperativa RiMaflow, la Cooperativa I.E.S. della Caritas e l’Associazione Libera: sarà RiMaflow in qualità di capofila dell’ATS a stipulare il contratto di comodato d’uso con Unicredit al tavolo prefettizio. Lo scopo dell’ATS ripropone la stessa iniziale ambizione dell’avvio dell’occupazione: dar vita a una rete di economia sociale e solidale per ricreare 300 posti di lavoro a regime: un numero uguale o anche superiore a quello dei licenziati con la chiusura della fabbrica.

Nuovo rapporto città-campagna e riciclo del RAEE

Due importanti momenti di incontro ci hanno consentito di mettere a punto alcuni altri aspetti del piano di lavoro. A fine ottobre 2015 si è tenuta in RiMaflow l’assemblea nazionale della rete di Genuino Clandestino: circa 350 partecipanti si sono confrontati per tre giorni sulle strategie del mondo rurale ‘fuorimercato’, attraverso un rinnovato rapporto tra città e campagna. In particolare,uno dei tavoli ha discusso della proposta nata a Trezzano di costruire una “distribuzione autogestita”, sulla base dell’esperienza ormai triennale realizzata con SOS Rosarno, Mondeggi Bene Comune, Sfrutta Zero di Bari e altre realtà di Genuino Clandestino.

RiMaflow, in collaborazione con gli spazi sociali milanesi, sta già realizzando infatti un’embrionale alternativa alla GDO per una serie di prodotti a “garanzia partecipata”, mettendo in connessione i produttori con un circuito di circa 60 gas e costituende cucine popolari.Non si tratta di realizzare in piccolo una GDO, ma di superare diseconomie e costruire relazioni sociali con l’obiettivo di muoversi in direzione di alternative economiche più generali, fondate sul mutuo soccorso.

In questo ambito abbiamo allo studio, insieme a una delle realtà di Campi Aperti di Bologna, la realizzazione di micromalterie per birrifici artigianali: sarebbe un bel contributo metalmeccanico alla realizzazione di filiere complete di produzione e distribuzione, che si affiancherebbe alle produzioni agroalimentari già sperimentate in questi anni.

Negli ultimi tempi, grazie a un contatto del collettivo di Attac, si è riaffacciata concretamente la possibilità di rimettere in moto il percorso iniziale sul riuso-riciclo di apparecchiature elettriche ed elettroniche, finalizzato al recupero delle materie prime. L’opportunità ci è data dal Consorzio Equo di Leinì, che da anni porta avanti un lavoro di recupero di metalli regolarizzando l’attività di numerosi ragazzi della comunità Rom e Sinto. Dai primi incontri è apparsa un’immediata convergenza politico-sociale e una possibile sinergia attraverso la costruzione di un polo di recupero per il nostro territorio. Le esperienze accumulate e le autorizzazioni già presenti in Equo per il trasporto e lo smaltimento potrebbero consentire a RiMaflow di accelerare i tempi per rilanciare l’intervento sul RAEE, affiancando altre lavoratrici ed altri lavoratori oltre a quelli attualmente impiegati.

Nel frattempo anche il bar e la piccola ristorazione per fornire 40-50 pasti al giorno sono di nuovo tornati in funzione, regolari al di là delle diffide, in quanto mensa aziendale della Cooperativa e somministrazione riaperta come Cral “RiMaflow Fuorimercato – Casa del Mutuo soccorso”. E non meravigliatevi di ritrovare a breve anche lo “spaccio” dei prodotti agricoli, perché anche il mutuo soccorso non si può arrestare

*Fonte: http://www.italia.attac.org/joom-attac/granello-di-sabbia/365-articoli-d…

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Lunga vita ai ribelli. Solidarietà ad Action e al csoa La Strada!

12631390_882630858519844_2375456592998308611_nRiportiamo il comunicato di Action e del csoa La Strada dopo il violento sgombero del 4 febbraio!

Non un passo indietro

L’ennesima intimidazione ricevuta questa mattina da un nostro compagno rende evidente il clima poliziesco che ormai governa Roma; neanche 24 ore dopo la violenta repressione dell’iniziativa per il diritto alla casa su via Ostiense, un provvedimento di avviso orale ha colpito uno dei volti più noti della nostra comunità ribelle. Restrizioni e limitazioni alla militanza pubblica per l’uguaglianza e la libertà, ci consegnano un nuovo importante segnale dello stato della democrazia in città.
Noi siamo qua. Pronti a lottare.
Le lotte condotte in difesa dei servizi pubblici, dalla parte dei migranti che vivono nella nostra città, incentivando aggregazione e comunità aperte, la lotta per la casa e per un abitare degno, contro ogni forma di esclusione e di razzismo, sono le lotte che come spazio sociale e comunità territoriale portiamo avanti con determinazione ormai da anni. La crescita costante della nostra collettività continua a dimostrarci che stiamo procedendo nella giusta direzione e la capacità di tessere legami e relazioni internazionali con chi costruisce alternativa nel resto del mondo, è inoltre lo stimolo che ci fa credere che è questa la via che bisogna percorrere.
Continueremo quindi sulla nostra Strada, perché è qui che siamo cresciuti e perché è da questo luogo che ogni giorno costruiamo desiderio e dignità, convinti che solo occupando ogni spazio di agire politico, la voce dei tanti sarà più forte dell’arroganza di pochi,
Lunga vita ai ribelli!
CSOA La StradaAction Diritti in Movimento

http://ilmanifesto.info/movimenti-per-la-casa-tornano-gli-sgomberi-a-roma/

Il video

http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/02/04/roma-scontri-tra-polizia-e-movimenti-per-la-casa-durante-un-tentativo-di-sgombero/2432941/

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Tanto non cambia nulla, fanno sempre come gli pare. Ma non sempre e’ così!

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Se nel 2007, quando apprendemmo la notizia che ad Albano Laziale era in progetto la costruzione di un inceneritore, avessimo risposto cosi o ci fossimo comportati di conseguenza probabilmente le cose sarebbero andate in modo diverso.
Invece se il 22 Novembre 2015 l’ autorizzazione di impatto ambientale è scaduta mandando così in fumo un progetto speculativo, inutile e dannoso, lo dobbiamo a chi nel 2007 ha deciso di opporsi in prima persona mettendosi in gioco in una mobilitazione popolare.

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Non fermi la solidarietà sparandoci addosso

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Da sempre antirazzisti e antifascisti, non potevamo non solidarizzare coi nostri compagni di strada, gente di CORE, e sopratutto con chi scappa da guerre, inquinamento e sfruttamento. Per questo OPS – Castelli romani sostiene e invita a partecipare questo fine settimana………al

Week-end antirazzista
Sabato 19 domenica 20 dicembre
Nettuno – Anzio
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COP21: CAMBIARE IL SISTEMA, NON IL CLIMA!

C21 La 21esima conferenza sul clima si presenta in uno scenario piuttosto sfavorevole da diversi punti di vista. In primis si trova a fronteggiare delle sfide molto ardue, come mantenere la soglia del riscaldamento globale sotto i 2°c, portare le nuove tecnologie “ecosostenibili” anche ai paesi in via di sviluppo, e altri obiettivi da cui siamo molto lontani. Dovrebbe poi formulare un accordo che per una volta sia veramente inteso come sovranazionale, vista l’urgenza di dover cominciare quantomeno a prevedere grosse spese anche nel futuro. In ultimo, si trova malauguratamente catapultata in uno stato d’urgenza fin troppo incisivo.
Per renderci conto della portata dei cambiamenti climatici bastano in realtà pochi dati: da 160 anni fa a oggi (quindi dall’era preindustriale, diciamo dal 1850) il clima globale ha subito un incremento di circa 2°c, e nelle previsioni peggiori si attesterebbe intorno ai 5° a fine secolo; questo provocherebbe l’innalzamento delle acque che sommergerebbe terre che ospitano un totale di quasi un miliardo di abitanti, oltre a dei cambiamenti climatici che variano a seconda delle zone del pianeta (ad esempio in medio oriente si acuirebbero le già presenti ondate di calore, che ridurrebbero le già scarse risorse idriche, mentre in Asia si acuirebbe il rischio di piogge torrenziali). Argomento nuovo e scottante quello delle migrazioni climatiche, viene introdotto alla vigilia dell’incontro da un rapporto che segnala come negli ultimi sei anni ci siano stati ben 157 milioni di casi di migrazione da imputare ai cambiamenti climatici.
Chiaramente ci sono un’infinità di fattori che giocano ruoli di diversa intensità nella determinazione del processo di riscaldamento globale, ma gli scogli più grossi rimangono il carbone e i gas serra, almeno secondo i potenti. Non vengono toccate come tematiche né l’estrazione petrolifera e mineraria né tantomeno quella della deforestazione, o del fuoco che imperversa in tutti i boschi indonesiani a causa della produzione di olio di palma, così come ovviamente non vengono toccate le modalità di produzione che generano l’inquinamento (lasciando così spazio ad orrori tipo il mercato del “diritto all’inquinare” che ha preso piede dopo il protocollo di Kyoto). Le tematiche che invece sono toccate aprono scenari molto inquietanti, delineando di primo impatto una divisione tra paesi ricchi ed emergenti, e successivamente un forte scarto tra paesi occidentali e non. A livello politico dunque il summit è un’occasione per parlare di varie questioni, innanzitutto per gestire anche dinamiche totalmente estranee a quelle della conferenza (come l’incontro tra Putin e Erdogan che verte sull’aereo russo abbattuto dalla Turchia al confine con la Syria), ma soprattutto per saggiare il terreno e cominciare a rapportarsi in qualche modo alle potenze non occidentali (che ormai chiamare emergenti risulta piuttosto irrisorio). In questo ambito, se l’India si mostra riluttante non volendo impegnarsi a ridurre l’uso del carbone, la Cina sembra più incline a ricevere tutti gli incentivi che gli occidentali stanno per stanziare, i quali, giocano il ruolo degli “inquinatori pentiti”.
Si cerca dunque di promuovere un accordo che agisca in molte direzioni, che però, di fatto, è una farsa. E’ una farsa innanzitutto per le questioni omesse, poi per i tempi biblici (l’accordo si firmerà nel 2016, e si attuerà in minima parte dal 2020 ma soprattutto nel 2030, per avere risultati entro il 2050), ma soprattutto perché l’accordo non è vincolante. Non avendo valore legale come Kyoto e Copenaghen, è prevedibile che questo trattato faccia la stessa misera fine. Infatti se fino a pochi anni fa c’era una forte propensione agli accordi sovranazionali, oggi si cerca sempre di più un riaccentramento sui parlamenti nazionali, e si utilizza una formula piuttosto preoccupante che è quella di non rispettare un accordo e trarne semplicemente una riforma che varia a seconda della specificità nazionale (è il caso dei precedenti accordi che riguardavano il clima, ma anche di trattati come quello di Lisbona sulla cittadinanza europea).
L’ennesima presa in giro è quella che raccontano le membership alte che partecipano a questa conferenza, con l’Italia in prima linea. Renzi e simili infatti ostentano di aver regolamentato le emissioni dannose. A conti fatti ci sono stati dei progressi rispetto a una decina/quindicina di anni fa, anche se qui si apre un capitolo molto spinoso: i progressi sono stati raggiunti sulle spalle dei lavoratori, cioè a forza di fallimenti di aziende e di chiusura di fabbriche (ovviamente non voluti). Non solo, i trattati stipulati a riguardo ponevano traguardi mai raggiunti anche considerando risultati di anni e anni dopo rispetto alla scadenza. Quanto detto ci serve da metro di giudizio, prendendo un esempio sappiamo che secondo il protocollo di Kyoto (1997) l’Italia avrebbe dovuto ridurre del 6% le emissioni di CO2 nel periodo tra il 2008 e il 2012; è il 2015, l’Italia ha ridotto le suddette emissioni del 4,6%, ma che sarebbe successo se il nostro PIL invece di diminuire del 1,5% fosse aumentato del 1,5%?
La Francia per conto suo sembra essere una delle nazioni più virtuose rispetto al carbone e ai GES (gaz à effet serre), anche se come si capisce già intuitivamente ciò ha un contrappeso piuttosto pesante. Infatti il virtuosismo della Francia dipende dalla scarsa necessità di centrali a carbone viste la ventina a reattore nucleare, che oltre a rifiuti tossici e tutti i problemi che possiamo immaginare stanno creando un problema per il prelievo d’acqua per il raffreddamento (che non risulta un gran problema per il prelievo di acqua marina ma più che altro per il Rodano e la Loira, che raffreddano 14 reattori l’uno). Oltre alle centrali nucleari le devastazioni territoriali meritano uno tra i primi posti in Europa: le famose ZAD (zone d’aménagement différé) sono l’esempio più lampante, alcuni ricorderanno quella del Barrage de Sivens (vicino Tolosa), o dell’aereoporto Notre-Dames (vicino Rennes) per le forti contestazioni che hanno fatto registrare. Proprio da questi territori in lotta nasce la mobilitazione (l’esempio più lampante è la “convergenza dei convogli delle ZAD su Parigi, dove i movimenti usano la sigla ZAD per acronimo di Zone A Defendre) e l’appello (https://paris-luttes.info/appel-depuis-les-zads-et-autres-3702) per un forum dei movimenti ambientali che non sembra però aver ossigeno per respirare. Strumentalizzando in malo modo gli attentati, il governo d’oltralpe ha fatto intendere chiaramente che “non è aria” di alzare un solo dito, di dire una sola parola sulla passerella che gli serve per dimostrarsi forti contro il terrorismo, che dunque cerca di legittimare ancor di più i bombardamenti e il rinforzo delle truppe in Syria.
Il COP21 stesso dunque si svolge in un clima del tutto teso data la forzatura del governo a non rinviare, né annullare, né spostare l’evento. Lo stato d’urgenza dichiarato dal governo Hollande durerà per tre mesi (si vuole perfino inserire lo stato d’urgenza nella Costituzione), ma l’incontro si sta svolgendo a distanza veramente ravvicinata dagli attentati, avvenuti solamente lo scorso 13 novembre. Già da qui emerge in maniera evidente una problematica cruciale, che funziona da filo-conduttore con molte delle questioni che imperversano nella capitale francese in queste settimane: il governo è un apparato che non ha nulla a che fare con i cittadini, ma non solo, nemmeno con lo stato. Già perché in questi casi, nei “casi di urgenza”, climatica o antiterrorista che sia, è l’apparato statale ad agire, non tanto il governo. Lo spiega bene Hollande in un’intervista del 2009 rilasciata a “Le Journal” che sta facendo il giro sui social network solamente anni dopo, in cui chiarisce implicitamente che lo stato ha il compito ultimo di mantenere l’ ordine. E’ proprio qui che capiamo come lo stato agisce: quando si tratta di urgenza si dichiarano stati di controllo poliziesco, in cui il fine ultimo principe è mantenere l’ ordine sociale, dunque al proprio interno, più che all’esterno. E’ proprio così che lo stato francese ha agito in questi giorni. Dalle perquisizioni e fermi preventivi, ai trecento fermati alla manifestazione del 29 Novembre, per arrivare alle denunce e ai processi che ne sono scaturiti, sembra quasi che lo stato d’urgenza serva più a mantenere lo stato di polizia che a lottare contro il terrorismo. In poche parole mettono in pericolo i cittadini e li avvisano di non uscire di casa (o consigliano comunque di farlo a piedi) dopo aver scaturito essi stessi il motivo della preoccupazione, e poi danno il benservito ai manifestanti perché a quel punto diventano loro che mettono in pericolo l’intera città.
Ed è dunque proprio a questo punto che si annoda la suddetta problematica cruciale. La conferenza la fanno loro, guerra la dichiarano loro, chiusi nelle loro stanze blindate, mentre a Parigi continua il terrorismo psicologico sui cittadini, invitati a non uscire, a non frequentare punti di ritrovo affollati, addirittura si esorta la popolazione a non prendere mezzi pubblici paradossalmente resi gratuiti. A pochi giorni dagli attentati, insomma, Hollande ci tiene a dimostrare ancora quanto la democrazia sia una mera illusione, come nessun cittadino o organizzazione abbia veramente voce in capitolo quando si tratta di temi urgenti. Come la democrazia muore in ogni loro modalità politica, sempre tecnicista, politicista, elitaria nonché autoritaria.
Esortiamo dunque qualunque persona e/o organizzazione a cercare di dare battaglia a quest’ipocrisia, cercando di diffondere il materiale contro informativo (reperibile da varie fonti, noi segnaliamo il sito www.anticop21.org), di diffondere dissenso nonché cercando di impedire lo svolgimento della conferenza.

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27/11: Aperitivo bibliofilo

Corrono i tempi dell’informatizzazione e del deserto culturale, siamo passati dai giornali e dalle riviste agli spottini su Facebook e a un quantomeno dubbioso rapporto con lo scritto virtuale. Nel frattempo i processi di concentrazione industriale e di omologazione culturale nel settore dell’editoria cartacea, vedi la fusione tra Mondadori ed RCS, e di quella on-line, vedi lo spadroneggiare di Amazon, mandano al macero un valore culturale piuttosto imbarazzante. In quest’attacco sfrenato i primi obiettivi risultano la cultura popolare e quella critica, soprattutto se le intendiamo nelle loro accezioni più genuine: la prima come insieme di saperi, valori e competenze scaturiti dal basso, la seconda come capacità di analisi ed elaborazione autonoma; esse vengono sempre più attaccate e marginalizzate a colpi di internet, urbanizzazione e liquefazione di ogni forma di contenuto. Continua a leggere

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