COSA CI RENDE MASCHI E FEMMINE? LEZIONI DI EDUCAZIONE Di GENERE NELLE CLASSI DI UNA SCUOLA ELEMENTARE

In un periodo in cui il dibattito sull’educazione a scuola, e in particolare sull’educazione di genere, si fa sempre più acceso sia a livello mediatico che sociale, riteniamo importante parlare dell’esperienza vissuta tra bambini e bambine di una scuola elementare di Lanuvio. L’associazione Demetra, centro antiviolenza attivo sul territorio dei Castelli Romani a Genzano di Roma, ci ha invitato a collaborare con le insegnanti della scuola per realizzare un progetto mirato a far riflettere bambini e bambine sulle genere E SUGLI STEREOTIPI AD ESSO CONNESSI, sulle aspettative sociali che comporta tale appartenenza, e soprattutto su ciò che accomuna i generi.

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IN SALENTO ANCORA FISCHIA IL VENTO

Un nuovo mostro si aggira per l’Italia. Si chiama Tap. D’altronde con il decreto Sblocca Italia, era da aspettarcelo. Il TAP riguarda un progetto di gasdotto, si snoderà lungo 878 chilometri (di cui 550 chilometri in Grecia; 215 chilometri in Albania; 105 chilometri nell’Adriatico e 8 chilometri in Italia).  Toccherà la massima altitudine a 1800 metri tra i rilievi albanesi e la massima profondità a 820 metri sotto il livello del mare. In ballo ci sono dieci miliardi di metri cubi di gas. Ammonta a tanto il quantitativo annuo del prezioso combustibile con cui l’Azerbaigian rifornirà l’Europa centrale per i prossimi cinquant’anni.
In Italia deve passare per il Salento, quella terra in cui il mare e gli ulivi sono la vera ricchezza.

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Un giorno senza di noi. L’8 marzo incrociamo le braccia.

Sono circa 40 paesi ad aver aderito allo sciopero internazionale delle donne. Un appello lanciato dalle donne Argentine che ha raccolto adesioni oltre ogni aspettativa.

Perche scioperiamo?

Perche se le nostre vite non valgono, allora non produciamo. Questo lo slogan assunto dai  movimenti che hanno come protagoniste soprattutto le donne, nei 40 paesi che hanno aderito allo sciopero internazionale.

Appello a tutti i sindacati confederali, di base e autonomi: l’8 Marzo fermiamo il mondo per dire no alla violenza maschile sulle donne

Qui di seguito l’elenco che giorno dopo giorno continua ad aumentare

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Dopo le incredibili mobilitazioni che lo scorso 26 novembre hanno visto milioni di donne riempire le strade dal Sud America, all’Europa, all’Asia, il prossimo 8 marzo torneremo per le strade e incroceremo di nuovo le braccia contro uno stato e una cultura che ci vede sottopagate, prive di diritti, relegate ai ruoli di cura e che tratta i nostri corpi come oggetti usa e getta.

L’8 marzo saremo in piazza per dire NO alla violenza sulle donne, per dire basta alla giustificazione della violenza come delitto passionale o raptus, il femminicidio è omicidio.

L’8 marzo saremo in piazza per pretendere il diritto alla cura e all’assistenza alle donne, per pretendere la riapertura e l’implementazione dei centri antiviolenza e dei consultori.

L’8 marzo saremo in piazza anche per ribadire il nostro diritto a decidere sui nostri corpi, il nostro diritto a una 194 applicata al cento per cento e dire basta agli obiettori.

Il diritto alla salute è un nostro diritto.

L’8 marzo saremo in piazza per contrastare una cultura patriarcale che insegna nelle scuole una storia vissuta e vista solo dal punto di vista degli uomini, vogliamo una scuola priva di stereotipi, paritaria e che stimoli il dibattito e il confronto tra i generi, non prediligendone uno rispetto all’altro.

8 Punti per LottoMarzo

 Nel nostro paese una mobilitazione del genere non si vedeva da anni, alimentata in questi mesi con la costruzione di appuntamenti locali e nazionali di  confronto e la messa in condivisione di pratiche e conoscenze.

Il 4 e 5 febbraio a Bologna, migliaia di donne si sono incontrare per proseguire  la stesura di un piano nazionale antiviolenza e l’organizzazione della giornata dell-8 marzo che ribadisce la volontà di costruire un percorso che rifiuta la vittimizzazione e sta avanzando proposte concrete per permettere a chi subisce violenza di sottrarsi ad essa.

Dobbiamo riconoscere che il problema c’è, se non direttamente nelle nostre case, nella società, nelle istituzioni, nel mondo del lavoro.

Secondo quanto afferma l’organizzazione mondiale della sanità, la violenza di genere è una questione strutturale globale.

I dati forniti da questa organizzazione sono il risultato di 141 diverse ricerche, effettuate in 81 paesi. Il 35% delle donne ha subito, almeno una volta nella vita una qualche forma di violenza.

Sempre secondo l’OMS l’80% di queste sono perpetrate da mariti o fidanzati e il 38% delle donne uccise, muore per mano del partner. Il 42% delle donne che ha subito una violenza fisica o sessuale riporta danni fisici permanenti.

Queste cifre non tengono conto di quella che viene definita zona grigia. Ovvero tutte le violenze che avvengono all’interno delle mura domestiche che non vengono denunciate.

Queste cifre sono troppo alte per ritenere che questo non sia un problema di tutta la collettività.

I piani di austerità avanzati dai governi di tutto il mondo colpiscono soprattutto le donne, le giovani, le migranti. I processi di ristrutturazione interessano anche il lavoro di riproduzione e passano per un attacco diretto al diritto all’aborto.

L’attacco è in ambito lavorativo, e in tutti gli aspetti delle nostre proprie vite. Precarietà e tagli al welfare attaccano le possibilità di reale emancipazione. L’autonomia economica è fondamentale per riuscire a sottrarsi alla violenza.

Le politiche di aggiustamento dei conti pubblici, il taglio allo stato sociale e al welfare ricadono in primis sulle donne dal momento che il lavoro di cura e assistenza, che dovrebbe essere a carico della fiscalità generale e invece assunto gratuitamente dalle donne oppure sottopagato, e affidato alle lavoratrici migranti e più in generale considerandolo gratuito nell’ambito della economia familiare Un bel risparmio, non c’è che dire.

Inoltre hanno reso i servizi spesso inaccessibili e ne hanno peggiorato la qualità con il conseguente peggioramento di equilibrio tra tempo di vita professionale e personale.

La violenza sulle donne non si esplica solo all’interno delle mura domestiche ma si declina in ogni ambito, lavoro compreso.

Le donne sono quelle maggiormente colpite dalla flessibilità lavorativa e le prime colpite dalle misure di austerity. Nel settore dei servizi dove circa 2/3 di chi vi lavora sono donne,  tagli e privatizzazioni  hanno causato perdite dei posti di lavoro e ridefinizione del reddito verso il basso

Con la liberalizzazione degli orari di apertura nel settore del commercio contenuta nella riforma “Salva Italia” si [ sdoganato il lavoro notturno, domenicale e festivo  rendendo difficilissima la vita dei lavoratori e in particolare delle lavoratrici che sono la maggior parte in questo settore.

Per buona pace della tanto sbandierata politica di conciliazione vita/lavoro.

Nei luoghi di lavoro, nonostante una legislazione specifica, la situazione non va meglio, anzi le discriminazioni sono continue e si articolano su più fronti.

A causa della disparità di stipendi, infatti, il divario retributivo delle donne di tutta Europa è di due mesi rispetto ai loro colleghi uomini. Che significa?

Che in tutta Europa, le donne lavorano in media gratuitamente due mesi l’anno rispetto ai colleghi maschi.

Se a questa disparità retributiva aggiungiamo le mancate assunzioni, la pratica delle dimissioni in bianco che le donne sono costrette a firmare, ne esce un quadro a tinte fosche.

Il contrasto a impoverimento e violenza vanno di pari passo e dunque la strada da percorrere [ quella che agisce  in una ottica di trasformazione e di miglioramento di tutta la società

Vogliamo agire sui processi di trasformazione culturale, perchè la violenza degli uomini sulle donne, così come l’omofobia, la transfobia sono strutturali nella nostra società.

Vogliamo una educazione alle differenze che abbracci tutto il percorso di crescita, dall’asilo nido all’università.

Vogliamo la piena applicazione della Convenzione di Istanbul contro ogni forma di violenza di genere, quella psicologica, fisica, quella consumata sul web, le molestie sessuali sui luoghi di lavoro.

Vogliamo che l’aborto sia garantito e gratuito per tutte

Un giorno senza di noi,perchè se le nostre vite non valgono, noi scioperiamo!

 #NonUnaDiMeno #LottoMarzo

Chiamata allo Sciopero internazionale delle donne – 8 marzo 2017 di Ni Una Menos

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Solidarietà agli studenti e alle studentesse di Bologna

Ciò che è successo a Bologna, ossia l’intervento violento della celere all’interno dell’università, nella storica biblioteca di Lettere di via Zamboni 36, occupata dagli studenti e dalle studentesse che si sono mobilitati per rispondere all’installazione di alcuni tornelli simili a quelli presenti nelle banche, è un fatto che deve essere prima di tutto condannato, ma allo stesso tempo analizzato e interpretato come la massima espressione di quello che è un lungo processo di gestione e controllo che ha coinvolto scuole e università italiane negli ultimi anni.

Sempre di più gli studenti e le studentesse devono fare i conti con un’ amministrazione di tipo aziendale, un diritto allo studio ormai presente solo su carta, il tagli di servizi e come accaduto a Bologna, la chiusura di spazi e luoghi di sapere, che dovrebbero essere accessibili a tutti e non solo agli iscritti all’università e soprattutto svincolati da un così ferreo controllo dei movimenti in entrata e in uscita.

In un mondo dove si parla sempre di più di rafforzamento di muri, confini e frontiere, questi strumenti di divisone e di potere che ci vengono venduti come garanti dell’ordine pubblico, vorrebbero essere applicati anche all’università, al fine di imporre un modello di studio e di formazione che non vada oltre la routine classica dell’andare all’università, seguire le lezione, aspettare che qualcuno ci gerarchizzi con un voto, prendere una laurea ed entrare nel mondo della disoccupazione e della precarietà.

Non ci deve essere spazio per coloro che aspirano a vivere l’università in maniera diversa, come luogo di aggregazione, socialità e sapere critico. Non ci deve essere spazio per le voci fuori dal coro .

Ma la risposta di tutte studentesse e studenti che non vogliono farsi sottomettere da questi processi di esclusione e normalizzazione dell’università è stata pronta e decisa.

Pronta e decisa anche la solidarietà arrivata da diverse realtà universitarie che nella giornata di Giovedì 16 hanno organizzato assemblee, cortei e mobilitazioni

Questo può aiutarci a capire che il problema relativo alla gestione degli spazi e dei luoghi di socialità non è qualcosa che rimane confinato alla città di Bologna, ma che al contrario si ramifica ovunque e che dietro la distruzione di un tornello, non c’è un atto vandalico, ma la rivendicazione simbolica e la voglia di riscatto di una generazione sempre più messa alle corde da delle politiche di austerità e di controllo.

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Come funziona il sistema dell’accoglienza e di asilo nel nostro paese?

Da Borderline Sicilia ONLUS

Nel mese di gennaio abbiamo visitato due volte l’accampamento di Pian del Lago, a Caltanissetta, insieme agli operatori di Oxfam, nell’ambito del progetto OpenEurope. Lo sgombero dell’accampamento pochi giorni prima di Natale ha riempito le pagine dei giornali, ma non ha avuto nessun effetto sulla vita dei migranti: in strada si trovavano prima e in strada si sono trovati subito dopo. Non appena la polizia ha lasciato il posto, infatti, a decine si sono trasferiti al di sotto dei piloni autostradali dove hanno ricostruito i loro alloggi di fortuna, fatti di tende malconce, cartoni e teli di plastica, gli unici mezzi con cui stanno affrontando uno degli inverni più freddi degli ultimi anni.


Nessuna istituzione, se non al momento degli sgomberi, si occupa di loro, e solo grazie alla solidarietà degli ospiti del CARA e di gruppi di volontari riescono a sopravvivere senza acqua, cibo, forniture igieniche e assistenza. Il campo che hanno costruito ricorda i tanti accampamenti sparsi per l’Italia e l’Europa, dove il rischio di tensione tra i presenti è amplificato dalle precarie condizioni di vita e dove tragedie come quella di Sesto Fiorentino sono sempre dietro l’angolo.

 Il giorno della nostra prima visita i ragazzi presenti erano all’incirca una trentina, anche se probabilmente gli “ospiti” del campo sono molti di più. Tra loro moltissimi pachistani, alcuni bengalesi e diversi africani. Ognuno con una propria storia personale e con motivazioni diverse per trovarsi a meno di 500 metri dal CIE e dal CARA di Caltanissetta. I pachistani, così come i bengalesi, dopo un viaggio infinito e pericolosissimo lungo la rotta balcanica, si sono ritrovati a Pian del Lago attratti dalla presunta celerità della Questura di Caltanissetta (il cui Ufficio Immigrazione si trova nella stessa struttura del centro governativo). Ciò che hanno trovato, invece, è la nota lista d’attesa redatta dalla Questura, un pezzo di carta assolutamente informale che darà prima o poi la possibilità di formalizzare la richiesta di protezione internazionale e, forse, di ottenere un posto all’interno del centro. Una prassi assolutamente illegittima, non solo perché ritarda di mesi l’accoglienza, ma anche perché non provvede alla contestuale verbalizzazione della richiesta di asilo, per cui la persona resta irregolare sul territorio fino al suo appuntamento. Nell’attesa, che può durare mesi, i richiedenti asilo aspettano come possono ammassati nel campo, senza documenti e senza alcun tipo di assistenza.

 Abbiamo poi incontrato quattro ragazzi ivoriani, alcuni sedicenti minori, ma identificati come maggiorenni, che ci hanno raccontato storie che hanno dell’incredibile, se non fosse che sono reali e diffuse, nonché illuminanti rispetto alla casualità e alle prassi che vigono nella procedura di protezione internazionale. Questi ragazzi facevano parte di un gruppo di 41 ivoriani sbarcati il 16 novembre a Catania, ognuno dei quali ha ottenuto un trattamento diverso senza un apparente motivo e, almeno per sette di loro, senza che nessuno li abbia informati sui loro diritti o abbia ascoltato le loro storie personali. Sempre seguendo il loro racconto, dieci hanno verbalizzato subito la richiesta di asilo e quindi sono stati accolti nel CARA, mentre gli altri sono stati raggiunti da un decreto di respingimento e immediatamente trasferiti nel CIE. Qui, dopo i primi 30 giorni, il giudice di pace ha convalidato la proroga del trattenimento per un altro mese, ma comunque dodici di loro sono stati rilasciati il 27 dicembre, ben prima della scadenza, perché il ministero aveva bisogno di liberare posti per nuovi migranti da recludere.

 A quanto ci hanno raccontato, una volta fuori dal CIE, cinque hanno visto accolta la loro richiesta di asilo e sono stati inseriti nel CARA, quattro si sono trasferiti nel campo informale, mentre gli altri hanno preferito abbandonare Caltanissetta. Questi ultimi difficilmente avranno fatto ricorso e si trovano, quindi, irregolari sul territorio, senza conoscere ciò a cui vanno incontro. Gli altri 19, invece, rimangono ancora reclusi nel Centro di Identificazione ed Espulsione in attesa della scadenza dei termini di trattenimento.

 Nella nostra seconda visita abbiamo constatato che anche i quattro ivoriani che avevamo conosciuto sono stati accolti nel CARA dopo aver presentato la richiesta di asilo e il ricorso contro il respingimento. Abbiamo poi incontrato altre persone che, nonostante il ricorso avverso il diniego della protezione internazionale, sono state escluse dall’accoglienza. Una situazione figlia anch’essa delle pratiche illegittime di alcune questure, dato che il richiedente asilo ha diritto all’accoglienza fino all’esito del ricorso.

 Diverse sono poi le persone presenti nel campo che hanno già ottenuto lo status di protezione internazionale e che, nonostante il permesso di soggiorno, vivono per strada. Infatti, dopo un’attesa estenuante per i documenti, spesso trascorsa in strutture che non avviano nessun percorso di inserimento, concludono il loro periodo di accoglienza senza nessuna reale prospettiva di inserimento sociale.

 Un’altra grave e illegittima prassi messa in atto da diverse questure, è quella di richiedere la residenza per il rinnovo del permesso di soggiorno a chi è titolare di una protezione. Questa prassi, a Caltanissetta ha dato la possibilità a molti, sia italiani che stranieri, di lucrare sulle pelle dei migranti vendendo residenze fittizie a caro prezzo.  Una vera speculazione sulla pelle di tanti che potrebbe essere arrestata se solo l’amministrazione locale ripristinasse la cosiddetta residenza virtuale per i senza fissa dimora.

 La nostra visita a Pian del Lago ha fotografato in maniera chiara e incontrovertibile la realtà del sistema di accoglienza e di asilo nel nostro paese. Una realtà fatta di prassi illegittime, di minori trattati come adulti, di persone respinte senza apparente motivo e senza che nessuno li abbia mai informati sui loro diritti, di un’accoglienza che si basa più su calcoli aritmetici che sui reali bisogni dei beneficiari, di migranti abbandonati sui territori che vanno ad ingrossare le fila dell’irregolarità e dello sfruttamento. Una fabbrica di clandestinità che non sembra solo rispondere al caso, ma ad una chiara strategia politica ed istituzionale.

 Nicolas Liuzzi

Borderline Sicilia

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27/01: Presentazione del libro “Rivoluzioni Violate”

Il 2011 ha visto l’insorgere delle popolazioni di numerosi paesi del Medio Oriente e del Nord Africa e l’avvio di un processo rivoluzionario, il primo del nuovo millennio, in corso ancora oggi. Gli entusiasmi iniziali si sono presto scontrati con la reazione controrivoluzionaria condotta da quei regimi che per decenni hanno tenuto i propri cittadini sotto un tallone di ferro e dalle potenze regionali e mondiali.

Grande assente invece è stata la sinistra occidentale che si è rivelata totalmente incapace di costruire dei movimenti di solidarietà internazionalista che andassero a sostenere le ribellioni della sponda orientale e meridionale del Mediterraneo preferendo invece sposare le narrazioni veicolate dagli apparati militari e adottando una lettura degli eventi mondiali fondata esclusivamente sulla geopolitica che esclude totalmente dalla propria analisi qualsiasi aspirazione e autonomia popolare.

Come militanti internazionalisti non ci interessa discutere di “primavere arabe” e “inverni islamisti” o di dover scegliere tra il sostenere dei regimi militari o le formazioni fondamentaliste, bensì riteniamo molto più utile comprendere come il 2011 abbia visto nascere esperienze di autogestione, sindacalismo conflittuale e di rivendicazione di diritti e come provare a costruire un legame solidale con chi lotta per la propria vita e il proprio futuro.

Ne discuteremo venerdì 27 gennaio dalle 17:30 presso l’enoteca comunale di Genzano (Via Giuseppe Di Vittorio, 10) in occasione della presentazione del libro “Rivoluzioni Violate – Cinque anni dopo: attivismo e diritti umani in Medio Oriente e Nord Africa” insieme a Cecilia Dalla Negra e Fouad Roueiha, co-autori dei capitoli sulla Palestina e la Siria, e con Giuliano Calisti, presidente del circolo ANPI di Genzano.

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UN NO PER RIBELLARSI

Nonostante avessimo auspicato una campagna referendaria differente, dove il No sociale e dal basso non fosse solo uno slogan ma una vera e propria pratica di opposizione dal basso e nonostante questa scadenza abbia poco a che fare con una vera trasformazione dell’esistente, domenica voteremo NO. E i motivi per farlo sono tanti.

Domenica 4 dicembre dopo i tanti slittamenti siamo finalmente chiamati alle urne per il referendum sulla cosiddetta Legge Boschi.
Se venisse approvata verrà superato il bicameralismo perfetto, diminuito il potere degli enti locali e soppresso l’ormai inutile Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro (CNEL). Questi in breve i motivi per cui verremo chiamati al voto, ma in realtà la posta in gioco è molto più alta: con la scusa dei costi della politica e della farraginosità dell’impianto costituzionale e con un Premier che ha modellato l’intera campagna elettorale come un duello in perfetto stile “o con me o contro di me”, la contro-riforma Renzi-Boschi si appresta ad accentrare ancora di più il potere nelle mani dell’Esecutivo.

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Nasce Ja, la serigrafia migrante, ed è subito collaborazione con la sartoria Karalò

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Jà – Serigrafia Migrante è un progetto di accoglienza dal basso nato nel settembre 2016 dall’incontro tra i militanti del collettivo Occupazioni Precari Studenti e i richiedenti asilo residenti nel Centro di Accoglienza Straordinario di Ariccia, sotto commissariamento dopo le inchieste di Mafia Capitale.
Questa iniziativa nasce nei Castelli Romani, un territorio segnato dall’attivismo di diversi movimenti ambientalisti, antifascisti e internazionalisti, ma non immune alla demagogia xenofoba ormai ampiamente sdoganata dal dibattito politico nazionale: a Marino nel maggio 2015 un gruppo di residenti e di neofascisti assaltarono un centro che avrebbe dovuto ospitare 78 profughi, uno dei primi eventi di questo genere avvenuti in Italia, mentre le elezioni amministrative del 2015 e 2016 hanno visto le destre incentrare le loro campagne elettorali sul tema della sicurezza utilizzando una retorica razzista ed islamofoba, fortunatamente senza riscuotere grande successo.

Tutto ciò ha indotto gli antirazzisti a cercare di smontare le narrazioni tossiche veicolate dai media dando vita ad una serie di eventi pubblici di grande successo che hanno portato la popolazione nativa e migrante a conoscersi reciprocamente, abbattendo i muri di sospetto innalzati dalla retorica populista di alcuni politici locali dando invece voce a chi vive il sistema dell’accoglienza in prima persona in tutte le sue storture e i suoi aspetti alienanti.

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Perché IL 4 Dicembre voteremo NO alla riforma costituzionale

BeFunky_HDR_1Il 4 Dicembre si voterà’ per il referendum sulla riforma costituzionale. Habemus papam! Molti hanno esclamato appena ufficializzata la data del voto la cui campagna elettorale già’ serpeggia almeno da Giugno.

Cosa c’è’ in ballo in questa scadenza?
Molti pensano sia inutile e inopportuna o ennesimo rituale di uno spettacolo che non cambia mai. Sentono il tema distante anni luce rispetto alle difficoltà quotidiane. Come dargli torto. Però forse guardandosi indietro e’ proprio snobbando alcuni passaggi politici del nostro paese, che abbiamo perso occasioni su occasioni per evitare questo lento impoverimento.

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Dichiariamo guerra alla violenza di genere.

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Pubblichiamo l’editoriale del collettivo Degender Communia sulle giornate del 26 e 27 novembre.

http://www.communianet.org/gender/dichiariamo-guerra-alla-violenza-di-genere

Una grande manifestazione il 26 novembre 2016 a Roma e un’assemblea il 27 testimonieranno la volontà femminista e lesbica di dire basta alla violenza sulle donne.
Non siamo le sole. Qualche anno fa in Spagna, e in tempi più recenti in Brasile, in Messico, in Argentina, in Polonia, in Inghilterra e in Irlanda, le donne hanno occupato con numeri eccezionali le strade contro la molteplicità delle violenze che ancora sono costrette a subire. Violenza sono infatti non solo gli stupri e gli omicidi. Violenza è costringerle all’aborto clandestino o causare la morte per obiezione di coscienza, come è accaduto qualche giorno fa a Valentina Miluzzo in Italia.
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No inc a processo

51905_10151185844098540_970822615_oLunedì 17 ottobre è iniziato il processo per interruzione di pubblico servizio e manifestazione non autorizzata (a detta di chi ci denunciò) per un presidio risalente al febbraio 2012. Eravamo nel pieno della mobilitazione contro l’inceneritore di Albano. Opera inutile e costosa, scongiurata prima e tornata di attualità grazie all’articolo 35 del decreto sblocca Italia che incentiva la costruzione di nuovi impianti e li considera impianti strategici nazionali.

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Quesito truffaldino?

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La giornata del 17 ottobre sarà una data centrale per il percorso referendario che dovrebbe portare al voto sulla riforma costituzionale il 4 dicembre. Ammesso che se tra una settimana il TAR di Roma, riunito in una sessione straordinaria accoglierà il ricorso presentato da M5S e SinistraItaliana contro la Presidenza del Consiglio.

Obiettivo del ricorso è quello di smontare il quesito truffaldino scelto dai Promotori del Referendum. Un testo che cerca l’ammiccamento populista fino all’ultimo, fin dentro la cabina elettorale. Sembra palesarsi sempre di più la difficoltà di questo governo nel portare avanti questa campagna volta a stravolgere le regole del gioco di una già debole democrazia rappresentativa.

Allora tutti i mezzi sono validi. Fino ad arrivare a chiedere ad un popolo stanco dei suoi rappresentanti se è d’accordo con l’idea di ridurne il numero. Chi non lo sarebbe?

Non si presentano in maniera altrettanto esplicita però tutti i limiti che porta con se il resto della riforma. Il premio di maggioranza, il completo scollamento della cittadinanza con quelli che ne dovrebbero essere rappresentanti all’interno del Parlamento e ancora tanto altro.

Per questo e per tanti altri motivi ci mobiliteremo in questa campagna per il NO. Portando avanti però quelle istanze di democrazia dal basso che vedono molti limiti nell’attuale Costituzione Repubblicana.

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Giu’ le mani dai consultori

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Come ogni anno il rientro a settembre ci ha riservato brutte sorprese: la chiusura “temporanea” del consultorio giovani di Genzano di Roma. La notizia è stata divulgata attraverso un avviso della ASL che il 24 agosto ha annunciato la chiusura, senza specificare una data di riapertura, e lo spostamento di tutti i servizi al consultorio già inflazionato di Albano. Questo ennesimo attacco alla sanità pubblica colpisce principalmente la fascia di utenti più sensibile e con meno risorse, ovvero quella dei giovani dai 14 ai 24 anni. Il consultorio, infatti, oltre a offrire servizi quali quello psicologico, ginecologico e di assistenza sociale, era molto attivo sul territorio attraverso corsi di educazione sessuale nelle scuole e offriva un ambiente familiare e intimo così da far sentire chiunque accolto e seguito nel suo percorso spesso difficile dell’adolescenza.

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Sabato 17 settembre – tutte/i a Piacenza

logisticada communianet.org

L’omicidio di Abd El Salam Ahmed Eldanf, lavoratore egiziano di 53 anni – in servizio presso il centro di smistamento della GLS di Piacenza – durante un picchetto porta alla luce quali siano oggi le condizioni di sfruttamento di lavoratrici e lavoratori e dove possa spingersi il ricatto padronale. Una condizione che vale ormai per tutti i settori produttivi così come per qualsiasi categoria di lavoratrici e lavoratori – la condizione della precarietà a tempo indeterminato. Una condizione che mette al centro in particolare il ruolo dei lavoratori migranti (su questo rimandiamo all’intervista di Roberto Ciccarelli a Giorgio Greppi).
Sabato 17 settembre dalle 14.00 – con partenza dalla stazione ferroviaria – è convocata dal sindacato Usb e da altre organizzazioni di lavoratrici e lavoratori una manifestazione per ribadire le ragioni della lotta dei lavoratori della logistica, oltre a portare in piazza il dolore e la rabbia per la morte di Abd El Salam e la determinazione a continuare la sua stessa lotta.
A questi link potete leggere i comunicati di Usb, Adl Cobas e Sial Cobas. Riportiamo invece qui sotto il comunicato del Naga di Milano (redaz.)

La circolazione delle merci, nel mercato capitalistico contemporaneo, è una funzione assolutamente vitale: dietro l’apparenza della smaterializzazione, la globalizzazione richiede lo spostamento fisico di quantità crescenti di merci; trasporti e logistica costituiscono perciò uno dei punti di maggiore vulnerabilità dell’intero sistema.
Questa vulnerabilità crea uno spazio per un conflitto, un conflitto reale, tra le esigenze del capitale (rapida circolazione, consegna in 24 ore, eliminazione delle costose scorte di magazzino) e i diritti dei lavoratori e delle lavoratrici nonché i loro stessi bisogni immediati e materiali: le condizioni di lavoro sono intollerabili, con turni massacranti, sfruttamento estremo delle capacità fisiche del lavoratore, divieto di fare pause, nessuna protezione contro il caldo e il gelo.
La retorica della smaterializzazione e dell’economia centrata sulla conoscenza si regge in realtà sulla fatica e sullo sfruttamento di decine, centinaia di migliaia di lavoratori, in grande maggioranza di origine straniera, tra cui una significativa porzione di cittadini privati del permesso di soggiorno, e con questo anche dei diritti minimi di cittadinanza; ecco chi sono gli immigrati, ecco chi sono i temiblili “clandestini”: donne e uomini senza cui la complessa macchina del nostro benessere non potrebbe funzionare.
Coscienti del loro ruolo vitale, questi cittadini stranieri sono diventati da anni, nel silenzio dei mezzi d’informazione, i protagonisti di una lotta durissima; non sorprende che alla violenza dello sfruttamento che spezza la schiena e cancella la dignità delle persone si aggiunga una reazione violentissima da parte delle aziende che vedono messo in pericolo il proprio dominio del mercato, tra cui anche aziende che impostano il proprio marketing su un’immagine democratica e rispettosa dell’ambiente e dei diritti.
In un crescendo di violenza si è arrivati alla forzatura di un picchetto da parte di un tir che notti fa ha travolto Abd Elsalam Ahmed Eldan, facchino precario a Piacenza.
Da quel tir ci sentiamo travolti tutti noi, perché in gioco c’è non solo la dignità umana, ma i nostri stessi diritti di lavoratori e lavoratrici. E noi ancora di più da oggi saremo dalla parte di Abd Elsalam, e non perderemo occasione per sostenerne la lotta.

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L’incendio della discarica di Albano riguarda tutti noi

Giovedì sera, 30 giugno, ha preso fuoco la discarica di rifiuti di Roncigliano. Per la precisione, l’impianto di trattamento dei rifiuti. La cronaca è già stata abbondantemente veicolata dai quotidiani locali e non. L’impianto che ha preso fuoco, il TMB serve a separare i rifiuti per tipologia, carta, plastiche, organico, vetro. Una volta separati, la maggior parte dei rifiuti è destinata all’interramento senza che vi sia un reale recupero.

Quello che dovremo provare a riprendere è la riflessione sulla gestione del ciclo dei rifiuti che continua ad essere attuata in provincia di Roma nonostante le numerose inchieste, l’ultima delle quali ha portato all’arresto del magnate dei rifiuti Manlio Cerroni. Inchieste, danni alla salute,inquinamento delle falde acquifere e
dell’ambiente non hanno prodotto un cambiamento di rotta verso la strategia zero e un principio di prevenzione vero. Insomma l’ambiente e la salute di molti sacrificati sull’altare dei profitti di pochi.
In pochi anni, altri due impianti  TMB sono andati a fuoco. Quello di Paliano e quello al Salario, rispettivamente di proprietà di ACEA e AMA. Ora, quello di Roncigliano, per buona pace della salute di tutti noi.

I primi dati forniti dall’Arpa relativi allo stato dell’aria sono rassicuranti; peccato si riferiscano a zone, quella di Ciampino e quella dell’Eur, che non sono state interessate dalla nube prodotta dall’incendio. Proprio sull’Arpa e sulla Asl dovremmo oggi concentrarci, facendo pressione su questi enti affinché diano risposte certe il più velocemente possibile sulla situazione ambientale dei Castelli Romani e zone limitrofe dopo l’incendio della discarica.
Non bisogna essere degli esperti per immaginare l’impatto che l’incendio di tonnellate di rifiuti indifferenziati, plastica e rifiuti chimici avranno sulla salute delle persone e sui terreni coltivati nelle aree circostanti la discarica. Diossine e sostanze inquinanti, poi, avranno ricadute anche in quelle zone distanti dalla discarica che sono state interessate dalla nube.
Questo a riprova del fatto che la discarica non è un problema solo di chi vive a Roncigliano.

Da dove ripartire? Da quel meccanismo virtuoso di partecipazione avviato dai tanti che si sono messi in gioco per bloccare l’inceneritore e che ha permesso di vincere quella battaglia. Ripartire da questa vittoria, da metà strada. Dovremmo tornare a guardare la bellezza che ci circonda, quella del nostro territorio, e tutelarla. Dovremmo tornare a costruire legami di solidarietà tra noi e aprire nuovi spazi decisionali e avere voce in capitolo sulle questioni che ci riguardano invece che subirle dall’alto. Non solo per quanto concerne la questione dei rifiuti.

Siamo convinti che esista una buona politica, ed è quella che viene dal basso, da chi vive e conosce i propri territori. L’unica in grado di avviare un meccanismo virtuoso di trasformazione di una società in crisi che produce solo inquinamento e devastazioni. Finalmente i sigilli alla discarica sono stati messi. Noi dovremo lottare affinchè rimanga chiusa, per una vera bonifica e per evitare che questo disastro diventi il pretesto per imporre nuovi impianti dannosi, come l’inceneritore, sui nostri territori.

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